Veronica ha 35 anni, è fidanzata e fa la videomaker. Ha condiviso con noi il suo dolore privato che in realtà è comune a molte donne. «Oggi penso di essere stata abbastanza fortunata rispetto ad altre, sono riuscita ad avere velocemente la diagnosi. Non riuscivo a risolvere un problema di cistite e, parlandone con una collega, le ho spiegato i miei sintomi. Lei, riconoscendosi nella mia storia, mi ha per la prima volta parlato di vulvodinia. Non avevo mai sentito quella parola. Ho poi scoperto che molti dei sintomi che mi accompagnavano da anni erano legati proprio a quella patologia: percezione di bruciore, fastidi, cistiti ricorrenti, una frequente sensazione di gonfiore e dolore durante i rapporti sessuali», dice Veronica.

«Solo dopo molti mesi ne ho parlato con il mio compagno. Mi vergognavo. Subivo il dolore in silenzio. Avevo cominciato a pensare che il mio problema fosse di natura psicologica, senza rimedio. Viaggio frequentemente per lavoro e spesso il dolore era con me. Dopo una trasferta durante la quale avevo particolarmente sofferto, mi sono rivolta a uno specialista. Grazie al metodo dello swab test (l’operatore sanitario tocca la vulva in punti diversi con un cotton fioc e la paziente deve esprimere il dolore con una scala da 0 a 10, ndr) alla fine mi viene diagnosticata la vulvodinia. Ho iniziato la terapia con il protocollo consigliato ma dopo un anno i progressi erano minimi. Ancora dolore durante i rapporti, bruciori e, a causa di un farmaco, mi ero addirittura gonfiata e riempita di brufoli. Stavo malissimo, ho passato un periodo molto buio. Avevo frequenti attacchi di panico, pensavo che non sarei più guarita. Ero in balìa di me stessa con la vergogna e il senso di colpa che accompagnano questa malattia. E se il medico che ti cura non risponde alle mail, al telefono e non ti rassicura ti senti persa. Non è facile trovare lo specialista giusto che conosca la patologia. In più, non esistendo un protocollo univoco, è affrontata da ognuno in modo diverso. Nonostante la terapia non avesse dato i risultati sperati, decido di ripartire per gli Stati Uniti per lavoro. È qui che inizia l’incubo peggiore. Di punto in bianco i sintomi peggiorano, sento come se fosse scoppiato un incendio. Non riesco a infilarmi gli slip, a camminare. Non sapevo cosa fare. Gli antidolorifici e gli antinfiammatori non mi aiutano. Decido di prendere un miorilassante (che faceva parte della terapia) perché era l’unico farmaco che avevo. Resisto e, tornata a casa, faccio una visita da un’altra specialista consigliatami da una collega. Mi spiega che, nel mio caso, il problema era collegato a un’infiammazione dovuta alla colite spastica di cui soffro. Il senso di sollievo che ho provato nel sentirmi ascoltata e curata con una terapia “su misura” mi ha aiutato molto, anche psicologicamente. Ogni caso è diverso dall’altro, per questo la cura deve essere personalizzata. Non mi sento ancora guarita del tutto, però non ho più dolori durante i rapporti e per me è un grande traguardo. È una patologia subdola che ci fa sentire donne sbagliate. Bisogna parlarne, farla conoscere, aiutarci. Certamente potranno arrivare delle ricadute, ma sto iniziando a pensare di avere figli. Ora, semplicemente, sono felice».

***Laura Coda, ostetrica, esperta in riabilitazione del pavimento pelvico e idrocolonterapia, da anni assiste donne affette da vulvodinia, correlata a cistiti recidive e colon irritabile. Alla dottoressa abbiamo posto domande per riconoscere la patologia e come curarla.

Che cos’è la vulvodinia?
È una malattia caratterizzata da dolore cronico e persistente, localizzato nell’area vulvare, quindi parliamo dei genitali esterni femminili. Il dolore può essere intermittente o continuo, spontaneo o provocato durante un rapporto sessuale, con la visita ginaecologica o inserendo un assorbente interno e nell’80% dei casi si localizza alla porta d’ingresso della vagina ovvero il vestibolo vaginale.

Quante donne ne soffrono?
In Italia una su sette. Non risparmia nessuna fase della vita, ma colpisce maggiormente le donne fertili, sessualmente attive.

Come si manifesta la vulvodinia?
Con un dolore bruciante anche durante i rapporti sessuali, il fastidio, il gonfiore, le fitte, gli spilli, il bruciore a urinare e/o a defecare, la morsa in vagina, la sensazione di essere pervasa da tagli. Non sono disturbi inventati dalla donna.

Quali sono le cause?
La vulvodinia non ha una causa chiaramente riconoscibile, ma esistono spine irritative che predispongono e accendono un processo infiammatorio che sta alla base di tutto. Nel 70% dei casi riguardano infezioni recidive da candida, micosi, cistiti, gli stessi farmaci locali o sistemici usati per curare le infezioni che a lungo andare crea- no alterazioni della nostra delicata flora, l’utilizzo di saponi troppo aggressivi che non rispettano il ph, rapporti sessuali in condizioni di secchezza vaginale che causano micro abrasioni dei tessuti, traumi da parto e trattamenti medici locali che servono per curare malattie vulvari. Il dolore e il bruciore sono la punta dell’iceberg dell’infiammazione che coinvolge tanti più organi quanto maggiori sono il ritardo diagnostico e la mancanza di attenzione agli organi vicini alla vulva. Infatti quando visitiamo e osserviamo una donna che soffre di vulvodinia dobbiamo sempre chiederci che cosa accade all’intestino, all’uretra e alla vescica.

Quali sono i primi segnali d’allarme?
L’infiammazione dei tessuti è una nostra amica che ci avvisa che in quel distretto sta avvenendo qualche cosa che a lungo andare scatena una reazione del sistema immunitario che si iperattiva, alterando le fibre nervose (terminazioni libere del nervo pudendo). In questo caso la donna percepisce dolorose alcune sensazioni che di fatto non lo sono, oppure soffre a causa di stimoli che non dovrebbero creare fastidio (per esempio il tocco della vulva in più punti, durante la visita ginecologica). I nervi malati iniziano a trasmettere al cervello segnali sempre più vivaci per quantità e intensità, creando un circolo vizioso che alimenta sofferenza, stanchezza, confusione, ansia e depressione.

Le terapie che consiglia?
La riabilitazione del pavimento pelvico gioca un ruolo importante, perché l’80% delle donne presenta un ipertono di quella zona che è l’area che noi donne appoggiamo alla sella della bicicletta. Il muscolo si irrigidisce, si contrae, come quando serriamo la mano a pugno. Nella malattia, porta ad avere dolore durante i rapporti sessuali ma anche difficoltà nell’urinare e nello scaricarsi.

Si può guarire?
Molte donne hanno un miglioramento della sintomatologia fino alla guarigione, ognuna con i propri tempi, altre possono avere recidive nel corso della vita. Il percorso terapeutico spesso necessita di più figure professionali e deve sempre essere cucito addosso alla donna che soffre, un po’ come un comodo abito sartoriale. Il silenzio non è mai una soluzione per guarire dalla vulvodinia e per ritrovare la propria intimità. Non lasciatevi intimidire da chi vi dice che è tutto normale, che è tutto nella vostra testa.

***La dottoressa in ostetricia Laura Coda, dopo anni in sala parto, si è dedicata allo studio del pavimento pelvico e delle sue disfunzioni, con particolare attenzione al dolore cronico. Negli ultimi dieci anni di attività ha messo a punto un protocollo per assistere le donne affette da vulvodinia.

1 DONNA SU 7. Circa il 12-15% delle italiane sono affette da vulvodinia, ma si stima che circa il 30% resti senza diagnosi. Giorgia Soleri, fidanzata di Damiano, frontman del gruppo musicale Måneskin, ha contribuito a portare l’attenzione dei social sulla vulvodinia di cui soffre da anni. Su Instagram ha pubblicato due video in cui racconta la sua storia, “fatta di dolore cronico e ritardo diagnostico”.

NEWS La patologia non è riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale. Nel mese di aprile 2021 è stata presentata alla Camera dei Deputati da parte dell’onorevole Lucia Scanu la proposta di legge per riconoscere la vulvodinia come malattia invalidante.

INFO // Associazione Italiana Vulvodinia (vulvodinia.org e vulvodinia.eu).