Anna Valle

La professoressa di greco la costrinse a debuttare in Lisistrata di Aristofane. E per farsi tornare la voglia di recitare, l’attrice romana ha dovuto diventare Miss Italia, nel ’95. Da lì non si è più fermata. Ora è impegnata con Neri Marcorè nel sequel di Questo nostro amore. Ma è la maternità, assicura, (è mamma di Ginevra, 6 anni, e di Leonardo, 1) che le ha cambiato davvero la vita. E lo dimostra: da anni è testimonial della onlus Aiutare i bambini.

Da bambina il mio letto aveva un lato a ridosso della parete. Così cominciai a parlare col muro. A raccontargli le mie esperienze, a confessargli le mie paure. Lui non era molto loquace, così iniziai a scriverci sopra, come su un diario: schizzavo la mia casa, stelle, la mia famiglia. La mamma non la prese per niente bene, così smisi. Mia figlia Ginevra preferisce lo specchio. Mostra a me e a mio marito la sua immagina riflessa e dice che quella è Margaret. Margaret riveste vari ruoli. Spesso è l’assistente di un lanciatore di coltelli, che è mio marito, anche se io ho sempre pensato fosse un avvocato. Altre volte Margaret prende spunto dalla principessa Mulan di Disney e si prepara, stringendo i pugni, a difenderci tutti dall’invasione degli Unni. Per rapportarmi con queste proiezioni anche io mi sono dovuta inventare un alterego, Filippa. Chiunque, non solo gli attori, nella quotidianità si immedesima in qualche personaggio altro da sé. Che Ginevra si eserciti in questo gioco è un benaugurante sintomo di fantasia.

Guido Maria Brera

E se l’alta finanza diventasse più riflessiva, sensibile, letteraria? Forse ci sarebbe un mondo migliore. Guido Maria Brera, manager romano cofondatore del Guppo Kairos, dà il buon esempio. Rizzoli ha appena pubblicato il suo libro I diavoli che, grazie allo sguardo spiazzante di un bambino di dieci anni, smaschera la falsa felicità di un mondo di potere. Già padre di Roberto (12) e Costanza (9), due anni fa la sua attuale compagna, Caterina Balivo, ha dato alla luce il suo terzo figlio, Guido Alberto.

In casa ci siamo abituati a toglierci tutti le scarpe appena varcato l’uscio. Mio figlio Guido Alberto e il suo peluche George, (che, per inciso, gli somiglia), hanno modi di relazionarsi difficili da decriptare. Lui gli sussurra parole incomprensibili, poi si buttano sul pavimento. Fatto sta che sono sempre per terra e girando in pantofole cerchiamo di limitare il proliferare di microbi. Io invece sono cresciuto in un clima poco sereno, coi miei genitori che litigavano tra loro o con mio fratello maggiore. Fu così che conobbi Guti. Mi chiudevo in camera mia e continuavo a sentire le discussioni al di là delle pareti, in sala da pranzo, allora aprivo un bel dibattito con Guti. Accusavo la mamma, e Guti cercava di difenderla. Mi arrabbiavo con papà o con mio fratello, e Guti trovava delle scuse verosimili. Avanti così, finché non mi addormentavo. Oggi si tende a portare i bambini ancora piccoli dallo psicologo, o a lasciarli sfogare con social, videogiochi e cellulari, in qualche modo distraendoli da situazioni spiacevoli e assolutamente reali. Ma penso che il genere di autoanalisi che si ha con un amico immaginario aiuti di più ad affrontarli, i problemi.

Candela Novembre

Belli, innamorati e creativi. L’architetto-designer Fabio Novembre e la modella-blogger Candela, con le loro bimbe Verde (9) e Celeste (5), potrebbero incarnare una famiglia da set cinematografico, con la differenza che entrambi sono tutt’altro che standardizzati. D’origine argentina, Candela nella quotidianità fa convivere filosofia buddista e sofisticata eleganza. Poteva loro figlia limitarsi a un solo amico immaginario?

Verde ne ha avuti a decine. Di volta in volta, si chiamavano Giulia, Chiara, Valentina… Ci sedevamo a pranzo e lei attaccava a parlare con questa o quell’altra entità invisibile. Alla fine, io e mio marito abbiamo capito: si trattava di coetanee con cui Verde avrebbe desiderato essere amica, senza riuscirci. In classe si formavano delle specie di fazioni e la leader di ogni gruppo vietava alle seguaci di frequentare le “altre”. Ma magari a Verde erano simpatiche, così compensava con l’immaginazione. Nelle dinamiche sociali è di quelle che cercano la mediazione. È solo con noi che sfodera tutto il suo caratterino. Da quest’anno, però, le cene a 5 con l’amica immaginaria di turno sono più rare. L’abbiamo iscritta a una scuola steineriana, dove i bambini vengono incoraggiati alla comunicazione, e Verde pare aver trovato un punto d’incontro tra desiderio e realtà.

Christiane Filangeri

Come nella serie tv che l’ha resa popolare, Ho sposato un poliziotto, vanta una genealogia germanica, con mamma boema pittrice di icone russe, e papà esploratore che, impegnato in studi sugli Indios, le ha fatto trascorrere parte dell’infanzia in Brasile. Nei grandi spazi della sua fazenda, per Christiane lavorare di fantasia con animali e amici immaginari è stato inevitabile. Terza a Miss Italia ’97, è diventata una prolifica attrice televisiva. Nel 2012 ha avuto un figlio, Alessandro, dal marito costruttore Luca Parnasi.

Sarà per il miscuglio culturale dal quale provengo, certo è che fin da bambina ho sempre avuto inclinazioni da poliglotta. In Brasile, mi inventavo ospiti dalla Germania per parlare tedesco e con gli amici tedeschi parlavo portoghese. Una volta arrivata in Italia, però, mi sono concentrato sulla signora Babbalucca. La “povera” signora Babbalucca. Era il capro espiatorio mio e della mia amica Antonella. Ci immaginavamo postine, e la Signora Babbalucca era sempre quella che sbagliava ad attaccare il francobollo. Fingevamo di servire il tè, e lei era quella che lo faceva traboccare dalle tazzine. Sempre lei era quella che diceva le bugie, che era la pettegola, che si comportava male coi ragazzini. Noi la prendevamo in giro, la deridevamo, la sgridavamo. Tanto che mia sorella si arrabbiava perché le nostre urla le impedivano di studiare. Per ora Alessandro non ha ancora un amico immaginario, ma purtroppo ha già un “nemico” immaginario. Fissa il buio e dice, con aria terrorizzata, “Bau!”. Si è spaventato una volta che mia cugina è venuta a casa nostra con il suo cane e adesso ricollega quel digrignare di denti alla paura in generale, all’ignoto. Ma io che sono cresciuta in mezzo agli animali sono ben decisa a fargli superare al più presto questa fobia.

Andrea Berton

Quarantatreenne friulano, il suo sogno di diventare aviatore è stato deviato da una presenza tentatrice, là a San Daniele dov’è cresciuto: il prosciutto crudo! Giovane chef, ha fatto scalo da Gualtiero Marchesi e su altre vette enogastronomiche. Ha aperto il Trussardi alla Scala col quale, grazie a una cucina incentrata sulla nitidezza dei sapori, ha ottenuto due stelle Michelin. Diventato papà di Alessia (5 anni), è poi partito verso altri lidi, inaugurando Pisacco e Dry. Finalmente ha da poco inaugurato il suo Ristorante Berton.

Da bambino puntavo in alto. Come amico immaginario mi ero scelto niente meno che Superman. Avevo un pupazzetto iconograficamente classico: tutina azzurra e mantello rosso. Era un talismano, mi piaceva l’idea di un personaggio in grado di superare qualsiasi ostacolo senza scomporsi mai, proprio com’è indispensabile in cucina. L’avevo sempre con me, perché non puoi mai sapere dietro a quale angolo si nasconda il cattivissimo Lex Luthor. In fin dei conti mi ha insegnato tanto. Mia figlia Alessia è più romantica, ha lo stesso legame con un peluche a forma di cuore che le ha regalato la mia compagna, Sandra. Se lo tiene nel letto, gli sussurra cose, lo abbraccia forte. Temo però che orienti la propria fantasia già verso la cucina. Una volta le ho grattugiato del lime sulle tagliatelle al ragù, la cosa le è rimasta così impressa che adesso vorrebbe lime grattugiato su ogni piatto, indistintamente. È il suo condimento immaginario.

Chiara Barzini

Scrittrice, sceneggiatrice e giornalista romana, vive col suo cane Sonnie, il suo compagno Luca e il figlio Sebastiano di 2 anni in un fienile ristrutturato. Si confessa particolarmente affascinata dai castelli abbandonati e dalla vita notturna di mandrie e greggi. In passato, quando viveva in California, le sue ossessioni si concentravano soprattutto su canyon e rock psichedelico. Oggi ovviamente l’amore per suo figlio supera di gran lunga qualsiasi altra passione.

Da un certo punto di vista sono contenta che Sebastiano abbia un amico immaginario meno ingombrante di Anna Frank, che era il mio. La sua fantasia anima un semplice orsacchiotto di nome Biby, la storpiatura di baby. Se ha sete dice “Biby sete”, se è stanco di fare la nanna esclama “Biby basta letto!”, se non ha una gran voglia di andare all’asilo chiede “anche oggi Biby asilo?” Insomma, è già un furbacchione, manda avanti quell’altro, in qualsiasi situazione. Così, quando quest’estate Biby si è perso, è stata una tragedia. Sebastiano piangeva, pareva completamente spaesato. Bisognava assolutamente recuperarlo. Ho scoperto che si trattava di un orsacchiotto Ikea del 2003, Blund all’anagrafe. Ho scoperto anche che ne erano rimasti solo pochi esemplari sparsi per il mondo: uno in Cina, uno in Canada, uno in Francia. Inoltre si era scatenata un’asta telematica di genitori in preda al panico, il che li aveva resi costosissimi. Siamo riusciti a farci spedire quello francese. Purtroppo l’orso era color crema, mentre il Biby originale era bruno. “Questo no Biby” piangeva Sebastiano. «Guarda il nasino» gli dicevo, «lo vedi che è uguale? E le orecchie? Non sono le stesse?» Ce ne ho messo di tempo, ma alla fine si è convinto. Ogni mattina mio figlio è di nuovo lì sotto le coperte a parlottare con Biby, il Secondo naturalmente.

Nicolai Lilin

Nonostante la giovinezza passata tra la guerra in Cecenia e l’antiterrorismo in Iraq, nonostante lo stile crudo dei suoi libri, lo scrittore e tatuatore russo ha sempre ribadito di non amare la violenza. Che non menta, lo dimostra la tenerezza con cui parla di sua figlia Elena (7 anni). E il mese scorso, all’età di trentaquattro anni, è diventato padre per la seconda volta.

Alle elementari avevo un carissimo amico molto vivace, forse incosciente. A otto anni ha cercato di attraversare un fiume a nuoto, nonostante ci fosse una forte corrente, ed è annegato. Per molto tempo ho continuato a immaginare che fosse accanto a me, a parlarci. Mia figlia invece ha trovato un amico nel delfino di peluche che le ho comprato all’acquario di Genova, lo chiama Tommaso. «Tommaso è nato da una mamma come la mia?» mi ha chiesto una volta. «No, da una mamma delfina» ho risposto. «Perché?» continuava lei. Io ho sperato di cavarmela col misticismo, intorbidendo un po’ le acque e dicendole che era la volontà di Dio. Chiaramente non le è bastato. Mi ha chiesto com’era fatto Dio, e ho capito di essermi cacciato in un brutto pasticcio. Ho cercato di spiegarle che Dio può essere inteso anche come un ordine universale, per cui ogni creatura ha un proprio senso e una propria funzione. E, non so come, ma Elena ha capito. Perfettamente. Anche perché abita in campagna e stare in contatto con molti animali forse l’ha aiutata. Adesso continua a presentare Tommaso agli altri bambini, non l’ha messo da parte, ma ci tiene ogni volta a sottolineare che sì, sono amici, ma Tommaso è un delfino, mentre lei è un essere umano.

Monica Bellucci

Qualunque uomo italiano, canadese o argentino che sia, se chiude gli occhi e pensa alla bellezza mediterranea, finisce per evocare Monica Bellucci. Musa di Dolce & Gabbana (e di molta moda made in Italy) è diventata una diva internazionale dopo aver recitato per Coppola e Gilliam. Da qualche mese è tra le neo-single più ricercate. Ma se l’amore con Vincent Cassel è finito, non si può certo dire lo stesso per quello verso le figlie Deva (9 anni) e Léonie (3).

Se le mie figlie avessero un’amica immaginaria sarebbe orfana di nonna, poverina, perché io ne ho mai avuta una. E a quanto pare, neanche loro. Non per questo la fantasia gioca un ruolo meno fondamentale nella loro maturazione e nel rapporto tra di noi. Spesso le nostre conversazioni prendono spunto dai loro sogni. E ancora di più, dai loro incubi. Sono ancora troppo piccole per elaborare razionalmente qualche inevitabile paura, le inquietudini però si manifestano a livello inconscio e qualche volta disturbano la loro notte. Qui entra in gioco la mamma: cerco di decriptare le loro fantasie, di trovarne i corrispettivi nella vita quotidiana, di tranquillizzarle perché probabilmente le loro insicurezze un tempo sono state le mie. Insomma, quei sogni sono messaggi in codice dal loro io più profondo: e io non voglio assolutamente perdermi qualcosa di così segreto e prezioso.

Stella Jean

Nata da una madre attrice haitiana e da un padre disegnatore di gioielli torinese, questa exmodella, oggi stilista, ha conquistato gli addetti ai lavori con le sue collezioni dal sapore creolo, caratterizzate da tessuti afro-wax e capi multicolore, in una sintesi di Africa, Caribe e resto del mondo. Ha due figli: Grande Marcello Maria (10) e Mirella Gaia (7).

Da bambina avevo una fantasia così famelica che non si accontentava di un amico immaginario stabile. Per il tè delle cinque ne invitavo più d’uno, e ogni volta gli ospiti cambiavano, a seconda delle esigenze della mia immaginazione. Mia figlia Mirella è più fedele, l’amico immaginario è sempre Carlos. O meglio, l’anima è sempre quella di Carlos. Mentre il corpo cambia spesso. Prima Carlos viveva in una bambola, poi nel cagnolino vero di un suo amico, poi in un coniglietto bianco di stoffa. Le imperscrutabili strade della metempsicosi hanno portato la sua povera anima ad incarnarsi addirittura in una forchetta. Non mi è dato sapere, in questo contesto, come funzioni il karma. Quello che so è che il carattere di Carlos rimane sempre uguale. Si tratta di una figura infantile e indifesa, che ha bisogno di essere coccolata e protetta. A prescindere dalla forma che Carlos assume, Mirella lo mette a dormire, lo imbocca, lo cura se si fa male. A dimostrazione che il senso materno può esistere a qualsiasi età.