Il Coronavirus ha cambiato le nostre vite. Come possiamo accettare la nostra nuova quotidianità e rimanere positivi in questo momento difficile? Scopri una selezione di articoli dedicati al tema cliccando qui.

Ho un gatto. Come molti gatti, si chiama Schrödinger. Quando era ancora piccolo, è capitato che Schrödinger restasse incastrato con un dito nel termosifone. Mai sentito un suono più disperato dei suoi miagolii. Io e il mio compagno siamo accorsi e ci siamo resi conto che la sua strategia era chiaramente di tirare fino a staccarsi il dito e di attaccare chiunque provasse a impedirglielo. Alla fine il mio compagno ha dovuto fare un buco nel termosifone con un cacciavite, in modo che Schrödinger riuscisse a sfilare il dito senza staccarselo. Entrambi avevamo le braccia tutte graffiate.

Quando ha iniziato a circolare la notizia che in Cina si stava diffondendo un nuovo virus denominato Nuovo Coronavirus o COVID19, io stavo per partire per la Grecia. Due scali all’andata, due al ritorno. Ci sono andata. Quando è stata data la notizia che c’erano dei casi di Coronavirus a Codogno, io stavo andando a Cologno Monzese per un’intervista. In treno. Ci sono andata. Ho dormito in albergo e sono tornata a casa il giorno dopo. In treno.

Dovrei forse aggiungere che prendo dei farmaci lievemente immunosoppressori e che i miei genitori non sono più giovanissimi. Se mi fossi tappata in casa terrorizzata avrei avuto qualche scusante. Ma io, in pratica, mi sono comportata come il mio gatto.

Molti animali, quando si sentono in pericolo, adottano dei comportamenti illogici che finiscono per aggravare la loro situazione iniziale. A mia discolpa, in quei primi momenti quasi nessuno si rendeva sul serio conto del problema che avrebbe posto un contagio su larga scala, o credeva che sarebbe potuto succedere. Questo nonostante da settimane gli scienziati di tutto il mondo dicessero che non solo sarebbe potuto succedere, ma che sarebbe successo quasi di sicuro.

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Nell’ultima settimana, abbiamo visto decine di giovani Schrödinger fare le cose più assurde: andare a sciare con il Coronavirus evadendo dalla zona rossa, affollarsi ai concerti, intasare i treni cercando di allontanarsi dalle zone in quarantena e tornare a sud dagli anziani parenti, non perdersi un aperitivo, abbracciare teorie del complotto su un virus spruzzato dagli americani sopra alla Cina...

Anche mentre scrivo, qua in Liguria è pieno di lombardi in vacanza. I treni per le Cinque Terre sono affollati di gente. Per strada si vedono persone che si abbracciano e si baciano con in viso una vaga aria di sfida.

Quella che non si vede è l’altra faccia della medaglia: chi ha fatto scorte il primo giorno e si è tappato in casa scomparendo dal mondo.

Si potrebbe pensare a queste due tipologie come opposte, ma probabilmente non è così. Sono solo due tipologie di persone che reagiscono allo stress in modo diverso. I primi, daini che corrono incontro all’incendio; i secondi, ricci che si chiudono a palla. Da un punto di vista del contenimento dell’epidemia, i secondi non destano preoccupazioni. Ma questo è un articolo di psicologia, non di epidemiologia: anche i ricci vivono una situazione di forte, fortissimo disagio. Forse specialmente loro.

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I “daini”, al contrario, negano ogni timore. Il loro meccanismo di difesa dal punto di vista psichico è efficace, perché è inconscio. Non esperiscono la paura, la rimuovono. E quindi sono sereni. Se in questi giorni di Coronavirus siete troppo sereni, quasi euforici, prendete in considerazione l’idea di essere “daini”.

Una persona che conosco, l’altro giorno mi ha fermato sconvolta. Suo marito, over-75 e da poco operato al cuore, era andato all’ultima partita a porte aperte dello Spezia. Ora, non devo certo ricordarvi io quali comportamenti di prevenzione sono stati indicati dall’OMS, alla tv li ripetono ogni pochi minuti. Sono comportamenti compatibili con quasi tutti i lavori e le situazioni familiari. Ma una cosa sono i dati oggettivi, un’altra la percezione personale e come sappiamo il nostro cervello, sotto stress, tende a utilizzare più facilmente delle euristiche (scorciatoie mentali) dannose, o farci degli altri scherzi di cui non siamo consapevoli.

Per esempio, in una obiettiva situazione di pericolo, a volte siamo portati a sovrastimare o a sottostimare il pericolo stesso. Lavarci le mani dopo aver toccato oggetti o persone potenzialmente portatori di Coronavirus, e astenerci dal portarle alla bocca, naso e occhi finché non l’abbiamo fatto, non è poi così difficile. Se tendiamo a dimenticarlo, forse ci stiamo comportando da daini e stiamo sottostimando il pericolo.

In molti casi, per lavoro o per altre necessità, ci troveremo a usare i mezzi pubblici o a viaggiare. Per lo più farlo rispettando le misure di sicurezza è possibile. Se abbiamo del tutto mollato il lavoro pur di non correre il minimo rischio, forse siamo ricci. Se ci spostiamo solo con faccia-mani-e-corpo coperti, anche quando non è necessario, forse siamo ricci.

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Se vediamo passare un autobus già piuttosto pieno e non riteniamo necessario aspettare quello dopo, forse siamo daini.

Se viviamo ogni minima variazione rispetto alla nostra normale routine con insofferenza, forse siamo daini.

Se abbiamo comprato cinque pacchi da sei di acqua minerale quando normalmente prendiamo giusto un paio di bottiglie, forse siamo ricci.

Se ci sentiamo stupidi o ridicoli a mettere in pratica i comportamenti di prevenzione che tutti conosciamo, forse siamo daini.

La paura del contagio è una delle paure umane più radicate. È praticamente integrata nella nostra psiche, una app di sistema che abbiamo tutti, come la valigetta Google sui cellulari Android. Se ci pensate un istante, capirete come mai questo tratto abbia avuto tanto successo nella strada dell’evoluzione. I medioevali che non avevano paura della peste non hanno vissuto abbastanza da riprodursi o, se si erano già riprodotti, neanche il loro pool genetico è sopravvissuto.

So che è un pensiero sgradevole, ma soffermatevi un attimo sulla cosa.

Ora, il Coronavirus con la peste non c’entra nulla, non è lontanamente paragonabile. Il mio esempio serve a far capire perché gli umani hanno così paura dei contagi. Siamo i discendenti di chi ha avuto paura (e di pochi fortunati scavezzacollo).

Uno dei timori irrazionali su cui più facilmente fa presa la retorica dei porti chiusi è “gli stranieri portano malattie”. All’inizio del Coronavirus siamo stati velocissimi a isolare i cinesi, anche quelli che vivevano qua da anni e non erano stati in Cina. Abbiamo smesso di mangiare cinese, di andare nei negozi cinesi e di ordinare merci dalla Cina. Siamo stati quasi tutti ricci, perché la configurazione “riccio” ha profonde radici nella nostra psiche. Per questo, se avete l’impressione di non provare nessuna paura per il Coronavirus, il vostro cervello vi sta nascondendo qualcosa.

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La nostra “programmazione base” ci porterebbe ad avere molta paura, una paura irrazionale che dovrebbe essere sovrascritta dalla nostra programmazione più sofisticata, ossia dalla nostra logica, dalla nostra cultura e dalla nostra capacità di esaminare il reale.

La maggior parte degli esseri umani ha una certa paura del buio. Dei temporali. Del fuoco. Ciò nonostante, riusciamo a razionalizzare. Quando una tempesta provoca un blackout, accendiamo una candela. Ma nella società occidentale contemporanea, la paura del contagio è una paura remota, che non siamo abituati ad affrontare. Per questo per noi è più probabile avere una reazione di panico. Ossia una forte reazione di stress.

Di fronte al panico, ci sono due tipi di comportamento che aiutano a ridurre lo stress: mettere in atto azioni di controllo, e negare la paura.

Ipercontrollare il nostro ambiente è una risposta consapevole, ma ha delle sfumature inconsce, ossia irrazionali.

Negare il pericolo è una risposta quasi del tutto inconscia, per cui non ci rendiamo neppure conto che lo stiamo facendo.

Come tutte le risposte inconsce, trova il modo di proporsi con una maschera ragionevole. Ecco alcune frasi che ho letto in giro: «Prima o poi moriremo tutti, tanto vale vivere» (sulla lavagnetta di un ristorante); «Tanto uccide solo gli anziani e i malati» (e quindi, come dicono a Roma, sticazzi); «La vita è mia, decido io che cosa farci» (paranoia di controllo); «È solo un’influenza» (resistenza al dato di realtà); «Se devi portare la pagnotta a casa seguire tutte le regole è impossibile» (catastrofismo e rassegnazione, non potendo seguire alcune regole, ignoriamo tutte le regole); «Tanto lo prenderemo tutti, non c’è niente da fare» (catastrofismo e rassegnazione 2, ignorare la differenza tra meno contagi distribuiti nel tempo e un picco di contagi capace di mandare in tilt il sistema); «Non mi fido, quei professoroni non fanno che litigare tra loro» (quindi ora mi ammalo per dispetto).

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Ognuna di queste frasi ha una parvenza di ragionevolezza, non possiamo dichiararci in totale disaccordo con nessuna di esse. Eppure ognuna porta dentro una distorsione che ha lo scopo ultimo di negare la paura.

Ragazzi, vorrei che fosse chiara una cosa: avere paura è brutto, mica mettiamo in campo queste distorsioni per nulla. È la nostra psiche che fa di tutto per proteggerci, non sono i capriccetti di un bambino. Non a caso, guardiamo un attimo che cosa stanno facendo molti di noi: scappano dal contagio e cercano rifugio in posti che gli sembrano più salubri (il mare, la montagna); scappano dal contagio e cercano rifugio in regioni poco colpite dal virus; scappano dal contagio e cercano rifugio dalla mamma. Tante persone che nelle ultime ore hanno lasciato le zone rosse, stanno tornando alla terra natia, dai genitori che magari sono anziani, ma che forniscono ancora un’idea di protezione.

E dato che il nostro inconscio è astuto, forse ci diciamo anche che stiamo andando noi ad aiutare loro, “che non si sa mai”.

Infine, dobbiamo considerare un ultimo fattore, per nulla trascurabile: la paura di rimanere in trappola. Chi è in quarantena è confinato. Certo, in ambienti familiari e razionalmente sicuri, ma il nostro inconscio potrebbe non vederla così e sentirsi bloccato in un posto pericoloso. L’angoscia claustrofobica che stanno provando le persone nelle zone rosse è assolutamente comprensibile e reale. È una sensazione potente, che tendi a sottostimare finché non la provi.

Per alcuni di noi l’angoscia è così forte, che mettiamo in atto un tipico comportamento di fuga. E come tutte le reazioni all’angoscia, non è detto che siano consapevoli. Alcuni di noi si rendono conto di ciò che provano, altri agiscono e basta. Non tutti abbiamo il cervello uguale, non tutti sono portati all’introspezione.

Ma quindi, che cosa fare, in concreto, per affrontare lo stress senza imbarcarsi in comportamenti a rischio?

Per prima cosa, prendere atto della propria paura. Rendersi conto di essere spaventati e che è una reazione normale. Prendere atto della propria paura aiuta anche a non diffonderla, perché una delle grandi leggi umane è che anche i sentimenti repressi agiscono su di noi e sugli altri.

I ricci e i daini emettono ondate di paura. Il comportamento autolesionista del mio gatto ha spedito nel panico più nero sia me, sia il mio compagno. Gli scaffali vuoti nei supermercati creano angoscia anche in chi è lì per comprare solo un filone di pane. Le immagini della stazione di Milano zeppa di gente ha mandato in paranoia anche i telespettatori più tranquilli.

E ai vostri bambini è meglio dire che siete un pochino spaventati, piuttosto che trascinarli via da casa loro in un momento di emergenza, o farli tappare dentro come durante un fallout nucleare. Seconda cosa, collegata alla prima: staccatevi dai mezzi di informazione ansiogeni. Continuate a informarvi, ma da fonti che ritenete affidabili e sicure, e senza l’angoscia di essere continuamente esposti a messaggi magari contrastanti e preoccupanti.

Terza cosa: diminuite lo stress diminuendo il rischio. Mettete consapevolmente in atto comportamenti di prevenzione. L’OMS ha fornito una serie di suggerimenti ragionevoli, seguiteli senza strafare. Nella vita di noi tutti ci sono attività indispensabili e attività semplicemente gradevoli. Le attività indispensabili non sono in questione, ma molte delle attività gradevoli vanno ripensate.

Tapparvi in casa e non muovervi non farà bene né al vostro corpo, né alla vostra mente. Camminate all’aperto, tenetevi impegnati, leggete un libro, giocate con i vostri figli, telefonate agli amici o incontrateli per una passeggiata. In molte regioni sono stati attivati sportelli psicologici gratuiti online. Se l’ansia diventa troppa, non vergognatevi a consultarli. È un’ansia che proviamo tutti.

Nel profondo siamo tutti animali, di per sé non è una brutta cosa.

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