Il prof. Marco Vitiello, coordinatore del gruppo Psicologia e lavoro dell’Ordine degli Psicologi del Lazio ci spiega tutto sulla sindrome di burnout (e come tenerla lontana il più possibile).

Che cos’è Il burnout?
Il Burnout è un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuto alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato nel contesto lavorativo. Il termine burnout, in inglese, significa proprio "bruciarsi".

Come capire se ne “soffro”?
Si tratta di un processo graduale, che attraversa diverse fasi. Inizialmente, il lavoro comincia a non soddisfare del tutto i nostri bisogni. Poi, progressivamente, maturiamo un distacco verso l’attività che svolgiamo, e il disimpegno si accompagna a una chiusura verso l’ambiente di lavoro e i colleghi. La fase più critica è quella della “frustrazione”: il pensiero dominante è di non essere più in grado di aiutare nessuno, con una profonda sensazione di inutilità. Ci si sente svuotati, privi di emozioni creative e di valori. Il tutto può essere aggravato da ulteriori motivi di frustrazione, come lo scarso apprezzamento da parte dei superiori o delle persone con cui ci relazioniamo.

Quando bisogna preoccuparsi?
Beh, prima che la frustrazione ci induca ad assumere atteggiamenti aggressivi, verso noi stessi o verso gli altri, vanno tenuti d’occhio alcuni indicatori: l’apatia, se tende a farsi costante, o il continuo desiderio di fuga dal lavoro (con allontanamenti ingiustificati dal lavoro o frequenti assenze per malattia). L’importante è muoversi prima che emergano disturbi psicosomatici o, peggio, stati di depressione da cui poi è difficile uscire. Va anche considerato che gli effetti del burnout non si ripercuotono solo a livello personale, ma tendono a propagarsi tra colleghi, e finiscono quindi per interessare l’intero ambiente di lavoro.

Chi sono le persone maggiormente predisposte e quali sono le cause?
Ci sono professioni con un’incidenza della sindrome molto alta, come le cosiddette professioni “di aiuto”. Secondo recenti studi europei, ad esempio, il 40-50% dei medici è coinvolto in questo problema, così come la categoria degli infermieri, dove si si scende al 30%. Anche gli insegnanti sono a rischio, e in Italia ciò è accentuato dalla costante riduzione degli organici. Altre categorie, pur essendo esposte a stress, lo sono in modo meno continuativo o sono meno monitorate, dunque risultano meno colpite. Si tratta di una problematica che si manifesta spesso nelle persone agli esordi della propria carriera lavorativa. Un’esperienza professionale ancora “acerba”, infatti, può facilitare l’insorgenza della sindrome, magari in forma temporanea. Ma anche le persone professionalmente più anziane, risultando tendenzialmente più insoddisfatte, sono a rischio. Un ruolo significativo lo gioca anche il nostro profilo caratteriale: chi ha un comportamento meno assertivo o è poco capace cioè di gestire in modo consapevole le richieste dell’altro ha più probabilità di incappare in questo problema.

Esistono differenze tra uomo e donna?
Statisticamente e clinicamente no. Va considerato però che alcune attività professionali (penso a quelle di infermiera o insegnante) sono prevalentemente svolte dalle donne, che risultano inevitabilmente più esposte. Se poi al lavoro si somma l’impegno domestico, lo stress cronico si accumula.

Fronteggiarlo e risolverlo: cosa fare e cosa non fare.
È essenziale individuare nel lavoro che svolgiamo le attività che piacciono di più, in modo da dedicare ad esse almeno lo stesso tempo rispetto a quelle meno gradite. Ovviamente, poi, bisogna evitare per quanto possibile l’esposizione allo stress in modo prolungato e frequente: cercando di fare più pause quotidiane per dedicarsi a piccole attività di svago - che fungono da occasione di recupero dell’equilibrio psicofisico – ma anche stabilendo relazioni positive con colleghi e conoscenti a cui raccontare, "sdrammatizzando", le situazioni di lavoro più critiche (aiuta a tenere fuori da sé il "fuoco"). Occorre infine ricordare che la passività, nei rapporti lavorativi e non solo, è fonte di grossi problemi: si può e si deve imparare ad avere nella vita di tutti i giorni un comportamento più assertivo, riuscendo anche a dire “no”, nel modo più sano e costruttivo possibile.