Noi abbiamo la sensazione che certi pazienti in terapia divengano molto esperti e usino ciò che hanno imparato per manipolare il prossimo. Non c'è un modo per non avere in giro armi improprie?

Questa cosa, antipaticissima, accade per una sorta di passaggio obbligato proprio di molte psicoterapie, anche se non di tutte, perché riguarda più certe personalità di altre. Si arriva ignari di quel che succede dentro di sé, e dopo un po’ di sedute, si scopre un mondo di codici, meccanismi e doppi sensi. A quel punto ogni disgraziato amico vicino diventa un cruciverba, una sciarada, un giocattolo con cui allenarsi. Una sciagura, in effetti, che per fortuna non colpisce tutti i neofiti. Quelli più riservati e introversi, ma anche meno presuntuosi, desisteranno; altri si lanceranno nei tripli salti mortali carpiati della devastazione onirica. D’altra parte, più la terapia va avanti, più auspicabilmente porta magagne e fa scoprire cose non sempre piacevoli. E ci si consola proprio così: facendo i pavoni con le vite degli altri e usando il falso appoggio delle acquisizioni ottenute. In realtà è solo una nuova trasformazione camaleontica della nevrosi: se infatti la terapia prosegue, il meccanismo, una volta identificato, dovrebbe estinguersi, o quantomeno attutirsi, perché l’effetto di una buona terapia dovrebbe essere anche quello di evitarci relazioni inautentiche e troppo asimmetriche, dove ci si pone in modo falso nel ruolo di chi fa conferenze sui fatti loro agli amici. I quali aspettando che il percorso psicologico prosegua, farebbero meglio a defilarsi, o ad assestare un grazioso insulto. È terapeutico.

Come capire se bisogna andare in analisi o risolversi le proprie paranoie da soli? C'è un eccessivo uso della psicoterapia?

Non direi, anzi, direi che ancora non siamo arrivati a una diffusione della prevenzione della patologia psicologica e all’accesso per tutti a questo tipo di cure. Infatti, come il corpo, anche la psiche cambia e non può fare a meno di cambiare. Quindi come il corpo, cambiando vita e abitudini, ha bisogno di cura, di medicina, di intervento, così è possibile che accada lo stesso anche del nostro corpo psichico. Se consideriamo normale che uno a una certa età possa andare da un medico qualsiasi, è pacifico che capiti spesso che vada anche da uno psicoterapeuta. Dopodiché mi sorgono due osservazioni: la prima è che molte persone decidono di non occuparsi della propria artrite perché non è una patologia grave; la seconda è che molte persone usano il pretesto della lamentela dell’artrite del vicino, per giustificare la propria insofferenza. Quindi il problema è davvero l’uso eccessivo della psicoterapia, o invece il fatto che se ne parli?

Scusi, ma come può un cervello indagare un altro cervello?

Tutto sommato la psicoterapia non si può definire proprio "scientifica"... è un discorso ampio, che riguarda la stessa visione della scienza, che negli ultimi decenni è molto cambiata. La scienza non è una serie lineare di conoscenze, come si tenderebbe a credere, ma una successione di modelli e di ipotesi, modelli e ipotesi che non si susseguono uno dopo l’altro per grado di efficacia assoluta, ma per miglioramenti relativi per cui un modello nuovo non sempre soppianta completamente uno vecchio. In medicina capita spesso di sentirsi dire: «È un vecchio farmaco, ma ha il suo perché», e vedersi prescrivere medicine che oggi sono state sostituite da altre, ma che magari non a torto il medico ritiene possano avere una loro efficacia per quella specifica persona. I corpi sono diversi e la pluralità delle ricerche in campo farmacologico garantisce un maggior arsenale di risposte per quella diversità. La pluralità delle ipotesi nella scienza è, per uno scienziato pratico come il medico, la garanzia di avere molte risposte diverse alle differenze dei corpi e delle domande che fanno. Un’altra cosa: anche l’idea della scienza come campo delle osservazioni oggettive, è un mito che si sta esaurendo, e oggi si riflette molto su quanto incida nella costruzione delle teorie il ruolo di chi quella teoria la pensa. Anche la scienza è un discorso, una cosa che dipende un po’ da come la si racconta. Se ripensiamo le discipline tradizionali in questi termini, forse la psicologia diventerà meno infida.

Ci sono psicoterapeuti di diversa formazione, che fanno riferimento a teorie diverse, e che spesso sembrano parlar male l'uno dell'altro! Come si fa a giudicare qual è quello giusto?

Ho sempre visualizzato l’insieme di associazioni e scuole di psicoterapia come un campionato di calcio. Nessuna squadra ha davvero premesse teoriche migliori delle altre, almeno tra le grandi, ma ci sono quelle che hanno sempre gli allenatori più forti, le formazioni migliori, i giocatori più capaci. In ogni caso, come dimostrano le ricerche sull’efficacia delle psicoterapie, tutte sono efficaci,purché fatte da persone competenti; non è questo o quell’arsenale teorico a fornire più capacità, ma la solidità della formazione.Se non si ha un conoscente a cui chiedere, uno del cui giudizio ci si fida, ovvero una persona capace di individuare la competenza, secondo me è buona norma scegliersi terapeuti di cui si sa che vengono da un’associazione solida, radicata, come la Spi (freudiani) o l’Aipa (junghiani) - ma questi sono solo esempi, perché ne esistono anche altre. Le associazioni psicodinamiche garantiscono che i terapeuti abbiano fatto una terapia psicodinamica su di sé (cosa che non sono obbligati a fare, per esempio, gli specializzandi in psichiatria delle scuole universitarie e di molti istituti non psicodinamici) e assicurano anche di essere piuttosto serie nei criteri di inclusione dei futuri psicoterapeuti. Per me - ecco questo è un discrimine importante - l’analisi personale è un allenamento imprescindibile per diventare buoni giocatori.

È vero che andare in analisi uccide la creatività?

No. È un'idea che circola a causa della volgarizzazione della prima psicoanalisi freudiana, in cui si teorizzava che l’arte fosse una forma di sublimazione di impulsi repressi. Un’idea coerente con un contesto storico e culturale: Freud aveva scoperto l’inconscio e lo guardava dalla prospettiva di un’apollinea borghesia con l’occhio del sospetto. L’inconscio infatti era qualcosa di temibile da scoprire,qualcosa che si doveva assoggettare alla coscienza e alla ragione. I suoi successori invece ci hanno, come dire, fatto amicizia, e il percorso analitico è diventato un percorso di familiarità con il proprio inconscio. Di conseguenza, l’arte e la creatività non sono più la sublimazione di contenuti sospetti, ma qualcosa d’altro. Winnicott per esempio ha teorizzato che l’arte è il nostro modo di giocare da adulti, di negoziare con il materno interno, l’area intermedia di allontanamento e avvicinamento dalla realtà. L’arte è insomma il nostro orsacchiotto.

Uno psicoterapeuta può essere sbagliato per un paziente e giusto per un altro? La professionalità non dovrebbe garantire un'efficacia trasversale?

Il lavoro dello psicoterapeuta somiglia a quello dello scrittore. Entrambi, per esempio, maneggiano narrazioni della vita. A volte mi sembra che i giovani terapeuti assomiglino un po’ ai giovani autori, che sanno scrivere bene storie di vite che hanno molto della propria, che sono vicine alla loro esperienza. Poi, più si impara a scrivere e a guardare, più si impara il mestiere, più si impara a lavorare su narrazioni lontane dalla propria storia. A volte, quella lontananza crea un’utile tensione. La trasversalità però è garantita dall’esperienza, perché si apprende a rintracciarsi in situazioni lontane. In compenso la gioventù porta un eros e una passione nel lavoro che può smuovere montagne. I terapeuti giovani ci tengono tantissimo a che tu stia meglio. Per loro è vitale. Ed essere oggetto di quell’affetto può essere molto bello.