Al lavoro sino al nono mese. Approvato col maxi-emendamento alla Legge di Bilancio, il nuovo congedo maternità 2019 è già operativo. Da quest’anno, con un certificato medico che attesti uno stato di buona salute, le future madri che lo desiderano possono continuare a lavorare praticamente fino parto, per poi giocarsi tutti i 5 mesi obbligatori dopo la nascita. Basta presentare la domanda all'Inps. Ma è una buona idea? “Spunti di vista” a confronto: quelli di una scrittrice, Rossella Milone, e di una designer, Luciana Di Virgilio.

«Una falsa libertà: molte donne si troveranno a dover dire sì quando vorrebbero dire no»

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Rino Bianchi
Rossella Milone. È scrittrice, vive a Roma. Tra i suoi libri, tre raccolte di racconti, forma letteraria che ama e difende. Lavora per diverse testate giornalistiche. Cattiva, il suo ultimo romanzo pubblicato da Einaudi, rompe il tabù della maternità perfetta e piena di fiocchetti. È madre di Alice, 3 anni e mezzo.

«La nuova normativa sulla maternità si veste da brava samaritana, ma in realtà nasconde ambiguità, problematiche impalpabili. Non considera il tempo necessario alla madre, piuttosto lo minimizza, lo svilisce, lo impoverisce del valore silente e fruttuoso che qualsiasi attesa contempla: la pausa, il raccoglimento, la concentrazione. Anche l’ordine dei ginecologi e degli psicologi è contrario all’idea di indurre un ulteriore stress emotivo per la gestante, mettendola nella condizione di dover scegliere. Libertà falsa, perché moltissime donne si troveranno nella situazione di dover dire sì quando vorrebbero dire no, per timore di perdere il lavoro al rientro. Il modo più subdolo per farti perdere un diritto è indurti a credere che quel diritto lo hai. Penso a quando aspettavo mia figlia. A due settimane dal parto, grossa, stanca e piena di dolori, ho dovuto girare mezzo Lazio per una serie di interviste. Succedeva spesso che davanti all’intervistato scoppiassi a piangere: gli ormoni? La stanchezza? La paura? Non lo so. Ma avevo bisogno di quel lavoro, anche se il mio corpo e il mio stato psicologico mi dicevano: non puoi farlo. Dovevo fermarmi ma, come lavoratrice autonoma, non godevo di nessuna norma che mi proteggesse. A una madre serve tempo per diventare madre. Per accogliere la nuova donna che si sta trasformando, per accudire i cambiamenti fisici ed emotivi della maternità, per capovolgere il proprio mondo, perché l’arrivo di un figlio è una capovolta. La nuova normativa sulla maternità rischia di sottrarre tutto questo con un sottile ricatto.

«Ben venga una legge che mette sullo stesso piano le lavoratrici dipendenti e quelle autonome»

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Luciana di Virgilio. Pugliese verace, vive a Milano da qualche anno. Designer eclettica (le sue esperienze spaziano dalla radio alla tv) ha fondato con Gianni Veneziano, suo compagno anche nella vita, Veneziano+Team, studio di interior e product design. È mamma di Virginia, di 3 anni.

In cantiere con un pancione così. Lo fanno da sempre molte colleghe architetto. Ho visto fare la stessa cosa alla mia commercialista, alla panettiera sotto casa. Ed è quello che ho fatto anch’io quando aspettavo Virginia. Mi sentivo bene, ero più che mai progettuale, ho viaggiato negli Stati Uniti senza risparmiarmi. In quel periodo tra i lavori in cui ero coinvolta c’era una mostra in Triennale (W Women in Italian Design), alcune collezioni: è stato naturale concludere i progetti che mi stavano a cuore. Però, sottolineo con forza, è stata una mia scelta, non ho subito nessun tipo di pressione. E lavorando in proprio, se sentivo il bisogno di un pomeriggio tranquillo me lo prendevo senza sensi di colpa. Ma se non ti senti in forma, se non ci stai dentro, o se hai semplicemente voglia di concentrarti sulla meraviglia che ti sta succedendo, devi essere altrettanto libera di poterlo fare senza temere che il tuo capo o peggio ancora la società o i social ti giudichino male. Ogni bambino è un mondo, ti ripetono i pediatri. Vale anche per le gravidanze, che sono tutte diverse. Io per esempio ho avuto bisogno di più tempo dopo il parto, molto laborioso. È andata così, ma poteva succedere il contrario. Ben venga una legge che ti dà più possibilità di scelta, e che mette sullo stesso piano lavoratrici auto- nome e dipendenti. Che sia libertà vera, però, non l’ennesima forma di pressione.