L'ansia è innata o si sviluppa in noi durante l'infanzia, trasmessa insidiosamente dai nostri genitori? Patrimonio genetico o costruzione emotiva, facciamo il punto sulle cause che fanno nascere/scaturire/crescere la nostra apprensione.

È uno stato tanto frequente quanto comune, tanto importante quanto spiacevole, tanto potente quanto effimero: l'ansia. Questa inquietudine metafisica può assumere la forma di un disagio fisico o la sensazione di pericolo imminente. Se non è sempre facile capire il motivo per il quale entriamo in questo stato, è ancora più difficile sapere da dove provengono queste paure e queste ansie. Cosa nella nostra vita potrebbe avere creato questa sensazione di insicurezza e stress? Abbiamo le stesse ansie dei nostri genitori e se sì, ce li hanno trasmessi loro?

Da dove vengono le nostre ansie esistenziali? Per Emma Scali, psicologa specializzata in psicologia integrativa e life coach a Parigi nonché autrice di Mon journal d'écriture-thérapie, je deviens le héros de ma vie" (Ed. Hugo&Cie), per comprendere l'ansia, dobbiamo iniziare dandole una definizione. Secondo lei, "l'ansia è una paura senza oggetto intrinsecamente legata all'idea della morte e, quindi, è inerente alla coscienza dell'essere umano". La maggior parte delle volte, l'ansia è una paura interiore difficile da spiegare, perché è collegata all'ignoto. La terapeuta, quindi, spiega che l'ansia appare non appena un individuo diventa consapevole della propria individualità, vale a dire circa a otto/nove mesi. "Sono necessari diversi mesi perché il bambino si renda conto di essere un individuo e di non essere più attaccato al corpo di sua madre", dice.

È, quindi, approssimativamente a questa età che l'ansia compare nell'essere umano. E continuerà per tutta la vita, in modo insidioso o più esplicito. "A certe età e in alcuni momenti della vita si è più propensi a essere angosciati o a pensare alla condizione umana e all'idea della morte", prosegue Emma Scali. Quindi, dopo la consapevolezza che avviene intorno agli otto/nove mesi, osserviamo diversi livelli di ansia. Intorno ai cinque o sei anni, il bambino inizia a pensare alla vita e quindi ad anticipare l'aldilà. Poi arriva l'adolescenza, durante la quale scopriamo la sessualità, l'integrazione nella società e soprattutto mettiamo alla prova i nostri limiti e quindi "giochiamo ideologicamente con la morte". L'ultimo passo osservato nello studio dell'ansia e di questa idea di morte imminente? Quando si invecchia e si inizia a vedere andarsene le persone che ci stanno intorno. "Ovviamente, tutto dipende anche da ciò che abbiamo realizzato, ma anche dalle ferite emotive he abbiamo vissuto", aggiunge Scali.

Va anche sottolineato che la sensazione di ansia deriva dalla nostra capacità di pensare. Inoltre, "le persone ipersensibili tendono a interrogarsi di più su questi concetti, e talvolta sviluppano blocchi o paure perché non riescono a superare le proprie ansie".

Se il sentimento di ansia è tipico dell'essere umano, quest'ultimo usa meccanismi di sostituzione o spostamento, per mettere alcuni "oggetti" al centro delle proprie paure che possono diventare vere e proprie fobie. Quindi, spiegheremo questa sensazione dandole veridicità e un'origine emotiva. Durante l'infanzia e più in generale durante tutta la vita, un individuo "evita" di pensare all'origine intrinseca dell'ansia, accumulando oggetti di paura, creati dalla propria esperienza, dalle proprie ferite emotive, dai propri traumi e da tutto ciò che gli ruota intorno.

A partire da questo concetto, nasce la questione circa l'ereditarietà dell'ansia. Possiamo trasmettere le nostre paure ai nostri figli? Come instillare in loro prudenza e sicurezza senza renderli preoccupati e spaventati? Anche in questo caso, Emma Scali insiste sul fatto che, in primo luogo, non dobbiamo sentirci in colpa: "È importante insegnare la nozione di pericolo ai bambini, insegnare loro che la paura è salutare. Ma dobbiamo anche ponderare questi suggerimenti affinché queste angosce non li ostacolino nella loro vita quotidiana".

La cosa più difficile è riuscire a non proiettare le proprie ansie sui propri figli che possono a loro volta introiettarle. L'introiezione è un concetto psicoanalitico dell'inizio del XX secolo e si riferisce a "un processo che evidenzia il passaggio fantasmatico dall'esterno verso l'interno". Pertanto, i bambini possono, senza rendersene conto, assorbire le paure e i loro oggetti durante l'infanzia, ma non gli strumenti che consentono di regolarli.

Ma questa quota di trasmissione non dipende solo dai genitori. "È un insieme di cose, è l'ambiente che sta intorno al bambino che deve essere preso in considerazione", afferma Emma Scali. Anche la scuola, i nonni e gli amici possono trasmettere valori ed emozioni, comprese le paure. "Si tratta di un aggiustamento permanente", spiega la terapeuta. Prima di aggiungere, "la cosa importante in tutto questo è la qualità della sicurezza interna dell'individuo". Se i genitori sono troppo sicuri possono limitare l'autonomia del bambino e inibirlo.

Se la quota di trasmissione delle paure e delle ansie è provata, sorge una domanda spontanea: esiste una causa genetica per questo trasferimento? Secondo gli ultimi studi nel campo dell'epigenetica, la risposta è "sì". Infatti, secondo uno studio condotto presso l'Università di Haifa da alcuni ricercatori israeliani e pubblicato nel 2013 su Biological Psychiatry, stress e ansia potrebbero alterare il modo in cui i geni si esprimono. Almeno nei topi.

È da sottolineare, infine, che non esiste una ricetta miracolosa per non trasmettere la propria angoscia o le proprie paure ai propri figli. La cosa importante secondo la psicologa è comunicare. "Dare dei nomi a ciò che ci fa stare male è un modo per verbalizzare le proprie emozioni negative e quindi per rimuovere il velo dell'ignoto che è all'origine della sensazione di ansia", conclude Scali.

DaMarie Claire FR