Nella tempesta dopo la quiete

«Ho avuto una bambina 22 giorni fa... È tutta la mia vita, il problema è che piango sempre. Ho paura a stare sola con lei perché ho paura di non riuscire a capirla... Me la tengo in braccio e la riempio di baci e piango... Piango tutte le lacrime che ho. Ho paura di farle male. Ho paura che stia male. Ma la cosa più brutta è che non riesco a vedere il “nostro futuro”, come se dovesse accadere qualcosa di brutto. Mi sto rovinando la vita e anche il rapporto con mio marito, che non mi capisce».

«Ho questo bimbo, lo amo tantissimo. Poco più di una settimana fa ho fatto uno stranissimo, orrendo pensiero. Ero con lui nella sua camera e stringendolo forte forte mi è venuto in mente che lo stessi soffocando, e da lì non ho capito più nulla. Questo pensiero è cresciuto sempre di più, è diventato sempre più nero e angosciante tanto da farmi pensare di poterlo soffocare davvero. Cerco di stare lontana da Matteo per paura di fargli del male. Provo a distrarmi ma poi ci ricasco e mi si svuota l’anima. Credo di essere diventata pazza».

Ecco cosa si pesca nel mare burrascoso dei forum dedicati alla maternità. Ci sono centinaia di testimonianze simili, scritte da donne normali che magari hanno desiderato così tanto un figlio che per mesi, forse anni, hanno vissuto nell’ossessione. O hanno imparato ad amarlo nei mesi della gravidanza, che servono anche a questo. Però quando il bimbo nasce, nascono nuovi pensieri. Intensissimi. Stanchissimi. Euforici. Agghiaccianti.

«Fino a poco fa stavo così anche io! Se ero in balcone pensavo che effetto avrebbe fatto gettarlo. La sera chiudevo a chiave la camera da letto per paura che inconsciamente mi sarei alzata e lo avrei ucciso. Lo sai tutta questa paura cos’è? Troppo amore!!! Credimi è così».

Nei forum si sovrappongono domande disperate, richieste di aiuto che emergono da profonde solitudini e molte risposte di buon senso, incoraggianti, di chi ci è passata e ne è uscita. Con o senza l’aiuto di uno specialista o di uno psicofarmaco, a seconda dell’intensità del malessere. A poche settimane dall’uscita dell’atteso Tutto parla di te di Alina Marazzi (sarà nelle sale l’11 aprile), dedicato proprio alla depressione post partum, si può dire che sono una moltitudine, forse in certa misura tutte, le madri che, in qualche modo, questo film l’hanno già visto.

Controcliché

«La verità è che più sei consapevole del tuo stato emotivo e dei tuoi pensieri cattivi nei confronti del bambino, più lo stai proteggendo da te stessa. Quello che conta è saperlo e dirselo senza tabù: che facendo un figlio acquisisci anche il diritto di volerlo buttare dalla finestra. Ma siccome sei una buona madre non lo fai. E questa è l’immensa differenza tra te e un’assassina». Lisa, 36 anni, psicologa, ha un bimbo di tre settimane e una bambina di quattro anni con cui all’inizio ha sperimentato una condizione di profonda tristezza.

«Mi è passata con lo svezzamento, con l’inizio del nido, quando piano piano mi sono ripresa degli spazi. Certo non quelli di prima, ma ho ricominciato a esistere. Per la nostra generazione, che ha sperimentato una vita indipendente, il cambiamento è fortissimo. Non parlo del baby blues, che è uno stato di disagio fisiologico che dura pochi giorni dopo il parto. Si tratta di mesi in cui ti sembra che tutto si fermi. Affronti giornate pesanti, spesso senza grandi aiuti perché le reti familiari e sociali sono molto più sfilacciate di un tempo, e sei presa tra il senso di noia mortale per settimane che non finiscono mai e quello di inadeguatezza. Mia figlia piangeva inconsolabilmente e mi chiedevo a quale titolo potessi essere sua madre».

Non aiuta, intorno, il cliché che ti vuole raggiante per aver dato alla luce una creatura. In questo contesto, dove soprattutto in Italia ma non solo siamo indietro di 500 anni, certe sensazioni, alcune fantasie distruttive, non possono essere confessate senza suscitare diffidenza e incomprensione. «Ho sperimentato fin dalla gravidanza emozioni paradossali», racconta Vania, 33 anni, una bimba di due anni. «Ho frequentato i miei bravi corsi preparto convinta che il difficile fosse nelle contrazioni, e che poi io e mio marito ci saremmo organizzati e sarebbe stata sufficiente la nostra reciproca collaborazione. Nessuno ti spiega a quei corsi che non puoi organizzare un bel niente. Che non appena hai pianificato una tabella di marcia per la giornata tutto si spariglia e il difficile è adeguarti senza opporre resistenza. E poi quel fondamentalismo sull’allattamento a richiesta: non ho più dormito per mesi, non c’erano orari, mia figlia era sempre attaccata, e nessuno che ci avesse avvertito che invece è possibile impostare un rapporto equilibrato tra poppata e sonno. Perché nessuno, o quasi, mette sullo stesso piano il benessere della madre e quello del bambino».

Non è un caso che i corsi di massaggio neonatale organizzati negli ospedali siano affollatissimi: «Dopo, a casa, i massaggi non si fanno», spiega Lisa, «ma c’è un gran bisogno di ritrovarsi e condividere ansie o problemi che se sei da sola ti sembrano enormi. Per questo sto cercando di organizzare dei corsi post partum nonostante le resistenze che incontro. Mi devo inventare nomi accattivanti perché sembrino diversi da quel che sono: un sostegno psicologico, una valvola di sfogo per scongiurare depressioni gravi».

Se ne esce, (ec)come

Di corsi post partum si sente la mancanza, ma qualcosa nella mentalità collettiva si sta muovendo, non solo al cinema. «Sono sempre di più le donne con tendenza alla depressione che decidono di farsi seguire ancora prima di restare incinte», racconta Roberta Anniverno, psichiatra e responsabile del Centro Depressione Donna dell’ospedale Macedonio Melloni di Milano. «In generale, quando si sta male, c’è meno resistenza ad accettare un sostegno farmacologico, eventualmente rinunciando all’allattamento al seno, se necessario. Meglio un biberon dato con serenità, che una poppata disperata».

Regola generale: se la tristezza non passa e non è giustificata dagli eventi, se le ansie sulle proprie competenze o sulla salute del bambino non danno tregua, meglio chiedere aiuto.

E per finire, dedicato a future e neo madri, ma anche o soprattutto a tutti quelli che hanno a che fare con loro (dai mariti spesso sprovveduti alle ostetriche a volte troppo tranchant, ai ginecologi facilmente sbrigativi), esce ad aprile un manuale sul tema. Il pianto della mamma (Red!) di Aurora Mastroleo e Laura Arcano fornisce elementi per capire e capirsi partendo dalle storie vere. Che, dicevamo all’inizio, sono così tante da fornire infiniti strumenti di guarigione.