In Italia il filosofo dell'empatia. Viaggia in treno anziché in aereo (riserva i voli solo al ritorno a casa, in Australia). Nel weekend, di fronte a una lunga mail, si scusa e rimanda tutto a lunedì perché è impegnato con i suoi bambini. E per convincere i londinesi a mettersi nei panni degli altri, propone una camminata di un miglio nelle scarpe di un pompiere, di una prostituta, della madre di un suicida... Che cos'è l'empatia? Roman Krznaric, filosofo sociale con base a Londra, già prima del suo arrivo ci offre un piccolo involontario assaggio di quello che significa essere empatici ogni giorno. Fondatore dell'Empathy Library e dell'Empathy Museum (un museo immateriale fatto di racconti, proprio quello in cui si può passeggiare con le scarpe di un altro ascoltando in cuffia la sua storia), citato da The Observer come uno tra i più influenti pensatori britannici, Krznaric sarà in Italia dal 21 al 24 maggio per un giro di conferenze ed eventi tra Milano e Roma, nel corso dei quali presenterà anche il suo libro Empatia - Perché è importante e come metterla in pratica, fresco di stampe per Armando editore (un saggio già tradotto in 12 lingue).

Empatia - Perché è importante e come metterla in pratica, è il libro di Roman Krznaric appena pubblicato in Italia da Armando Editorepinterest
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Noi l'abbiamo intervistato, mentre si prepara a incontrare il pubblico nel corso di una serie di eventi organizzati dalla fondazione di cui è membro, all'interno del comitato etico (non a caso, Fondazione Empatia Milano).

Nel suo libro appena pubblicato in Italia, lei parla del crescente interesse per il tema dell’empatia, nel mondo. Sappiamo che ha cominciato a scriverlo prima che si parlasse di Brexit e di nuovi sovranismi. Crede ancora che sia così? «Sono convinto che l’empatia nel mondo di oggi sia più importante che mai. L'ascesa dell'estrema destra in Europa, il trumpismo, l’accanimento contro immigrati e rifugiati, sono tutti eventi basati su una politica del "noi" contro "loro". Si nutrono dell'idea che ci siano persone che hanno meno valore di noi e che dovrebbero essere escluse dalla società, dalla politica, dalla cittadinanza in generale. L'empatia - la capacità di mettersi nei panni di un altro e guardare il mondo attraverso i suoi occhi - è un antidoto alla politica "noi" contro "loro". Una politica decisamente in aumento».

Tradotto in pratica? Si tratta di guardare all’umanità che c’è nell'altro, di riconoscere ciò che condividiamo con persone che a prima vista potrebbero sembrare molto diverse da noi. Mi sembra che nel contesto attuale di tutto questo ci sia sempre più bisogno: la parola EMPATHY svetta sugli striscioni di Extinction Rebellion, in molte scuole europee l’empatia si insegna ai bambini. E l’Empathy Museum che ho fondato a Londra è diventato incredibilmente popolare negli ultimi anni, anche all'estero. Forse perché le persone sono alla ricerca di modi nuovi e creativi per costruire tolleranza, rispetto e superare le divisioni sociali dei giorni nostri. Per scoprire come, visitano l'Empathy Museum.

Il comportamento empatico fa parte della nostra evoluzione, ha scritto. Dunque l’empatia è qualcosa di innato? O si può apprendere? Certo che si può, è come imparare ad andare in bicicletta, a guidare. Uno dei modi migliori è sviluppare la curiosità verso le persone che non conosciamo. Parlare con persone che abitualmente non frequentiamo, che sono lontane dal nostro mondo, almeno una volta alla settimana. Che sia il ragazzo afghano o cingalese che ti porta il cibo a casa o che ti vende qualcosa all’angolo della strada ogni mattina, o la donna rom che accompagna i figli alla stessa scuola dei tuoi. Queste chiacchierate sono uno dei modi migliori per superare i nostri pregiudizi sugli altri. Il trucco è non limitarsi a conversare del tempo, ma parlare delle cose che contano davvero nella vita, come l'amore, la morte, la famiglia, la religione, insomma i valori più profondi.

Ci sono altri modi per svilupparla? Sì, per esempio attraverso quello che viene chiamato "ascolto empatico". Richiede almeno tre cose: mettersi di fronte all'altra persona senza interromperla (o peggio, consultare lo smartphone tutto il tempo), e ascoltare le sue esigenze, le sue emozioni. Se siamo in grado di comunicare a chi ci sta di fronte che abbiamo compreso i suoi sentimenti, è incredibile quanto tutto questo possa aiutare a ridurre la tensione, a prevenire discussioni e in generale costruire relazioni positive. Si tratta di un metodo chiamato Non-Violent Communication, inventato dallo psicoterapeuta Marshall Rosenberg.

Anche lei ha imparato a diventare più empatico? In effetti non sono una persona naturalmente empatica, ho ancora molto da fare per migliorarmi! E il libro che ho scritto, Empatia, appena tradotto in italiano, è anche il racconto dei miei sforzi per svilupparla. Durante la fase di scrittura a un certo punto mi sono reso conto che in realtà all'età di dieci anni avevo perso molto della mia capacità di empatizzare con gli altri, dopo la prematura morte di mia madre. Una risposta al trauma. Ero diventato molto distaccato - non condividevo facilmente emozioni e prospettive altrui. Ma col tempo ho iniziato a “ricostruire” anche da questo punto di vista, cercando di essere emotivamente più aperto, sviluppando la mia disponibilità e curiosità verso gli altri. Rendermi vulnerabile, accessibile, mi ha aiutato a connettermi con le persone, compresi i miei figli.

Le tecnologie, i social, aiutano questa connessione? Vengo spesso contattato da imprenditori californiani che mi dicono: «Ehi Roman, sviluppiamo insieme un'app sull'empatia». E io rispondo: «Sorry, ma non abbiamo bisogno di questa applicazione, noi esseri umani siamo già una Empathy App!». Intendo dire che siamo progettati per la connessione, la comunicazione, la costruzione dell'empatia negli incontri faccia a faccia. Per farlo non abbiamo bisogno di una sofisticata tecnologia! I social network non sono efficaci in tutto questo. Anzi, tendono a intrappolarci in contesti di persone come noi - che condividono le stesse opinioni politiche, le stesse preferenze in fatto di film o di musica. L'empatia invece prospera quando ci connettiamo con persone diverse da noi. Stiamo aspettando che qualcuno inventi una piattaforma social che faccia esattamente il contrario di ciò che accade di solito. E metta in contatto persone con tutt’altre convinzioni sociali, politiche, economiche. Finché ciò non accadrà, resto piuttosto scettico sull’idea che la tecnologia possa aiutarci a sviluppare empatia.

Il movimento di Greta Thumberg non è una sorta di richiesta di empatia per le nuove generazioni, oltre che per il pianeta? Certo, le richieste di Greta e delle manifestazioni studentesche hanno profondamente a che fare con l'empatia! Riguardano l’incapacità dei politici e di tutti quelli che sono al potere, di mettersi nei panni delle generazioni future, e di prendere in considerazione i loro bisogni e il pianeta su cui vivranno. Ho avuto la fortuna di incontrare Greta quando è venuta in marcia Roma e ha incontrato anche il Papa, e abbiamo parlato proprio di questo. Nel suo cuore, la giustizia intergenerazionale - è questo che gli studenti in piazza in ogni angolo del mondo stanno effettivamente chiedendo - significa non ignorare le generazioni future che ora non hanno voce, non sono affatto rappresentate nel sistema attuale.

Proprio per questo lo scrittore italiano Erri De Luca arriva provocatoriamente a dire che gli anziani non dovrebbero votare, né pronunciarsi su cose che hanno un impatto sulle vite di chi sta ancora crescendo... Credo che la giustizia intergenerazionale sarà uno dei movimenti politici che definiranno il 21 ° secolo. Per come la vedo io, l'umanità ha colonizzato il futuro: trattiamo il futuro come un lontanissimo avamposto coloniale dove scarichiamo il nostro degrado ecologico, il rischio tecnologico, i rifiuti nucleari, il debito pubblico. Trattiamo il futuro come se lì non ci fosse più nessuno. Ma in realtà sarà ben presto abitato da quelle generazioni che stiamo cancellando dal quadro politico. Empatizzare con le generazioni future - fare quel balzo immaginativo pensando alle loro vite, domani - è uno dei modi fondamentali per decolonizzare il futuro.

Non a caso sul suo profilo twitter lei si definisce long-term thinkerSul potere del pensiero a lungo termine sto scrivendo un libro. Molti dei problemi di oggi si basano sul “breve-terminismo” patologico della società attuale. I politici non riescono a guardare oltre le prossime elezioni, le aziende non sanno proiettarsi al di là della relazione trimestrale, le nazioni si concentrano sui loro interessi a breve termine mentre il pianeta brucia. E tutti noi siamo ossessionati dal richiamo del pulsante “acquista ora”. Sono profondamente convinto che affrontare le grandi crisi del nostro tempo - l'emergenza ecologica globale, le migrazioni, la disuguale distribuzione della ricchezza, i rischi dell'intelligenza artificiale - richieda una riconversione importante dei nostri pensieri verso orizzonti temporali più lunghi. Dobbiamo ricominciare a pensare non in termini di secondi, minuti, ore, ma in termini di decenni, secoli, millenni.

Tutt'altro che facile. Non è proprio come dirlo... Semplicemente, dobbiamo smettere di pensare al "qui e subito", e convertirci all’idea che "ORA" significa qualcosa come "questo secolo". Persino oltre. Come dice il musicista Brian Eno, dobbiamo entrare nella nuova era del “Long Now”. E secondo me in questo cambiamento ancora una volta entra in gioco l’empatia. Si tratta di prendere in considerazione le vite dei miliardi di persone che nasceranno nel futuro, e che non incontreremo mai. E di renderci conto che le nostre azioni hanno conseguenze sulla loro vita. Abbiamo delle responsabilità, dei doveri nei loro confronti. Dobbiamo imparare a entrare in empatia non solo attraverso lo spazio, ma anche attraverso il tempo. Attualmente non lo stiamo facendo. Ma è uno sforzo che in cui tutti noi dobbiamo impegnarci».

Per chi volesse cominciare, il primo appuntamento con Roman Krznaric è in Mediateca Santa Teresa a Milano il prossimo 21 maggio prossimo alle 17.30, dove il filosofo (membro del Comitato etico di FEM, Fondazione Empatia Milano), presenta il suo libro, dialogando con la Filosofa Laura Boella e Petra Mezzetti, presidente di FEM. Modera l’incontro la giornalista Maria Luisa Villa.