Che la dieta mediterranea, dichiarato patrimonio culturale immateriale dell’umanità nel 2010 dall'UNESCO, sia tra le diete più sane al mondo è cosa risaputa. L'ultima novità è che questo tipo di regime alimentare fa sì bene al cuore (riduce il rischio cardiovascolare in maniera significativa per una media del 15%), come già era noto, ma, secondo lo studio noto come "Moli-sani" condotto dall’Istituto neurologico mediterraneo Neuromed pubblicato in parte su International Journal of Epidemiology, i benefici sarebbero legati allo stato socio-economico delle persone, ovvero al grado di istruzione e da quanto sono più o meno ricchi. Nello specifico, secondo alcuni scienziati del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’Irccs di Pozzilli (Isernia) la riduzione del rischio cardiovascolare si osserva nelle persone con un livello di istruzione superiore e/o un maggiore reddito familiare.

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Tradotto: le differenze socioeconomiche in salute stanno crescendo anche nell’accesso a diete sane. «I nostri risultati dovrebbero promuovere una seria considerazione di questo scenario dal momento che i cittadini più deboli tendono ad acquistare alimenti mediterranei con un valore nutrizionale inferiore», spiega aggiunge la dottoressa Marialaura Bonaccio, primo autore dello studio. Dalle ricerche, infatti, è emerso che le persone con reddito alto o istruzione superiore consumano prodotti più ricchi di antiossidanti e polifenoli, una maggiore diversità di scelte di frutta e verdura, prodotti integrali e usano metodi di cottura più sani. «Non possiamo continuare a dire che la dieta mediterranea fa bene se non siamo in grado di garantirne un uguale accesso», conclude Giovanni de Gaetano, direttore del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione dell'Irccs di Pozzilli (Isernia). Come andare incontro ai meno ricchi? Per esempio, suggeriscono alcuni medici, si potrebbero valutare misure come abbassare l'Iva sull'olio extravergine d'oliva certificato, su frutta e verdura per favorire l'acquisto di prodotti più freschi.

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