Sapere mettere bene a fuoco le emozioni, proprie e degli altri, è indice di intelligenza emotiva. Preziosa, ma purtroppo spesso sottovalutata nella nostra società, questa qualità può portare vantaggi nella vita privata, nelle relazioni e sul lavoro poiché rende la persona che ne è provvista più abile a stare bene con gli altri, più empatica e più positiva. Abbiamo incontrato il dottor Giovanni Battista Tura, Medico Specialista in Psichiatria e Dirigente Responsabile dell’Area di Psichiatria dell’IRCCS Centro S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli Brescia, per conoscere meglio questo tipo di intelligenza e avere qualche consiglio per potenziarla.

Cosa s'intende per intelligenza emotiva?
Partiamo dalla definizione che di “intelligenza emotiva” viene data Salovey e Mayer nel 1990: “è la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri, discriminando tra i vari tipi di emozione e usando questa informazione per incanalare pensieri e azioni”. Possiamo, quindi, intendere l’intelligenza emotiva come un insieme di competenze sia sociali ma soprattutto emotive, utili ad adattarsi alle varie situazioni, a comprendere le interazioni sociali e ad affrontare eventi stressanti; insomma, un modo positivo e ricco di vivere la nostra dimensione emozionale e metterla intenzionalmente in scambio con gli altri. Daniel Goleman, che si può considerare al riguardo il maggior riferimento, ne da una definizione semplice, ma efficace, descrivendola come l’abilità di stare bene con gli altri, di comprendere cosa gli altri sentano e sperimentino, permettendoci così di rispondere in maniera adeguata alle loro esigenze. Ulteriori approfondimento hanno consentito di evidenziale come questa “intelligenza” sia propedeutica anche al raggiungimento di obiettivi concreti e più ascrivibili all’intelligenza “cognitiva” più tradizionalmente intesa, legando, quindi, il concetto di intelligenza emotiva alla maggiore possibilità di ottenere successi.

Più intelligenza emotiva più felicità?
Rispetto alla relazione tra intelligenza emotiva e felicità, concetto quest’ultimo peraltro molto relativo e soggettivo, è intuibile come lo sviluppo di questa attitudine emotiva favorisca svariati ambiti della vita dell’uomo, da quelli personali, come le relazioni sentimentali, a quelli più legati al lavoro o al sociale. Gli studiosi citati prima, in particolare Goleman stesso e altri, hanno descritto bene in quanti contesti un uso e un’attitudine personale all’intelligenza emotiva abbia reso più efficaci, positive e gratificanti molti aspetti della vita personale e di relazione. Esempi significativi, per esempio, settore dell’assistenza sanitaria, rispetto alle capacità di ascolto del paziente e della comprensione dei suoi vissuti, delle sue esigenze psicologiche; nel settore aziendale, favorendo gli scambi di informazione e comunicazione tra colleghi, nell’ambito delle relazioni di coppia, rispetto ai contenuti e alle modalità delle discussioni, circa la critica, lo scherno, il ”non gradito”, più in generale su quelle emozioni che fortificano l’unione rispetto a ciò che rischia di mettere in crisi il rapporto.

Una qualità da stimolare, quindi, sin dall'infanzia...
Ancora, autorevoli ricerche evidenziano come favorire un’intelligenza emotiva in bambini e adolescenti rappresenti un fattore di protezione e prevenzione rispetto a condotte a rischio, rendendo i giovani emotivamente competenti e, quindi, avvantaggiati nella lettura delle situazioni di pericolo, di autocontrollo e di gestione delle relazioni intime per esempio. Tale evidenza ha suggerito addirittura di sviluppare percorsi didattici mirati a potenziare nei giovani la conoscenza e l’uso della propria intelligenza emotiva, con evidenti e misurabili benefici sia sulla carriera scolastica sia sulla capacità di prevenire e meglio gestire le criticità tipiche di una certa stagione della vita. In sintesi, se vivere meglio con se stessi e con gli altri, in una dimensione di maggiore scambio emotivo positivo, è una componente della felicità, allora l’intelligenza emotiva ne è uno strumento importante.

Qual è la differenza tra intelligenza emotiva ed empatia?
Provando a definire l’empatia in maniera molto semplice, potremmo dire che è la capacità di “sentire” le emozioni di un’altra persona, comprendendo in questo sentire sia una consapevolezza circa le nostre emozioni sia la capacità di relazione con l’altro. Ricollegandoci a quanto detto sull'intelligenza emotiva, ne consegue un rapporto stretto, dove in presenza di una spiccata intelligenza di tipo emotivo posso aspettarmi una maggiore possibilità e migliore precisione nel comprendere lo stato mentale ed emotivo dell’altro, riuscendo allo stesso tempo a differenziarmi dall’altra persona pur riconoscendone l’emozione e accogliendola. Più consapevolezza riusciamo ad assumere circa le nostre emozioni, più riusciremo a essere abili nel leggere i sentimenti degli altri. L’intelligenza emotiva di fatto è la base dell’empatia.

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E tra intelligenza emotiva e quoziente intellettivo?
In questo caso la relazione è più complessa; diciamo pure che non è una relazione stretta, se intendiamo il Quoziente Intellettivo (QI) come punteggio di test calcolato secondo precisi protocolli, ragionamento visuo-percettivo, memoria di lavoro e velocità di elaborazione. In questo senso l’intelligenza emotiva e il quoziente intellettivo non possono essere valutati di pari passo, riferendosi il secondo a “capacità” più meccanica di percepire, esprimere, controllare e valutare le emozioni. Questo consente anche di spiegare perché in alcuni casi possiamo trovare persone con bassi risultati ai test d’intelligenza ma con un successo personale discreto nella vita di tutti i giorni: una buona intelligenza emotiva, consentendo di immedesimarsi nei sentimenti altrui, permette di ottenere un alto livello di risposta dall’altro. Altrettanto possibile che persone con alta capacità intellettiva ma con scarso patrimonio di intelligenza emotiva possano mostrate significative criticità nella vita di relazione e nell’efficacia di una sana e positiva interazione con gli altri. Rifacendoci ancora a Goleman, egli ipotizza che l’intelligenza emotiva si acquisisca e si possa potenziare in qualsiasi fase di vita, aumentando in corrispondenza di una progressiva consapevolezza emotiva, al contrario del QI che risulterebbe un elemento personale meno dinamico. Ancora una volta, però, è bene sottolineare che tutto l’ insieme delle nostre competenze nella vita di tutti i giorni, si integra e interfaccia continuamente, dandoci un bagaglio di strumenti in cui un aspetto può diventare potenziare l’altro e viceversa.

Esiste un test per misurare l’intelligenza emotiva?
Quantificare l’intelligenza emotiva al pari del quoziente intellettivo è molto difficoltoso, stante i vari aspetti che, come abbiamo visto, la compongono e, soprattutto, data la matrice relazionale e sociale del fenomeno che stiamo descrivendo. Possiamo più che altro dire che esistono alcuni test che provano a misurarne alcuni aspetti quali, per esempio, il Reading the Mind in The Eyes, che valuta la capacità di riconoscere e attribuire stati mentali a sé e agli altri; il Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test, una scala che indaga come le persone svolgono e risolvono problemi di tipo emotivo, lo Story-based Empathy Task che si focalizza sugli aspetti cognitivi e affettivi legati all’imputare stati mentali agli altri e a se stessi. Questi tipi di test è, inoltre, necessario che vengano svolti in maniera integrata a colloqui clinici approfonditi, all’osservazione del paziente in contesti di interazione e così via. Stante la complessità e la poliedricità del tipo di capacità che stiamo descrivendo, ridurne la sua osservazione a dei test potrebbe non intercettare e descrivere bene questa specifica caratteristica di ogni individuo, appunto la sua intelligenza emotiva.

Come si può potenziare l'intelligenza emotiva secondo Goleman?
In Lavorare con intelligenza emotiva, Goleman mostra come l’intelligenza emotiva sia una competenza che risulta potenziata da cinque elementi nello specifico: consapevolezza, padronanza di sé, motivazione, empatia, abilità nelle relazioni interpersonali, capacità che possono essere educate e sviluppate indipendentemente da età, sesso, nazionalità, cultura o credo religioso. Queste capacità permetterebbero una maggiore conoscenza delle proprie emozioni, la possibilità di maneggiarle, lo sviluppo di una motivazione rispetto a se stessi, il riconoscimento delle emozioni degli altri e l’utilizzo delle competenze sociali nell’interazione con gli altri. Attraverso l’educazione e il potenziamento di queste abilità risulterebbe, quindi, possibile apprendere e diventare “emotivamente intelligenti” passando da più semplici re-azioni agli eventi che accadono a una libertà di azione per scelta indipendente. Nello specifico, vengono descritti degli elementi connessi alle abilità di intelligenza emotiva il cui sviluppo risulta benefico per l’evoluzione e la maturazione di migliori competenze emotive. Si fa riferimento alla fiducia, intesa come probabilità di avere riuscire in ciò che sto facendo, alla curiosità, come scoperta di attività positive piacevoli, all’intenzionalità, quale senso di competenza ed efficacia, all’autocontrollo, come modulazione e controllo delle proprie azioni, alla connessione, come capacità di impegno con gli altri, alla capacità di comunicare, come abilità di espressione e sensazione di fiducia negli altri, alla capacità di cooperare, quale equilibrio delle proprie esigenze con quelle degli altri. Questi apprendimenti non solo potenziano le abilità da adulti, ma sono anche utili allo sviluppo emotivo da bambini, unitamente ai rapporti sperimentati durante l’infanzia laddove, a fronte di una maggiore quantità di emozioni positive esperite, conseguono competenze emotive e sociali migliori.

Cosa sono, invece, le intelligenze multiple citate da Howard Gardner?
Quando Gardner parla di intelligenza nel suo libro Formae Mentis porta un approccio innovativo rispetto ai concetti più tradizionali che vedevano l’intelligenza come forma unitaria. Nello specifico Gardner introduce il concetto di diverse forme di intelligenza dove ognuna risulta indipendente dalle altre, anche da un punto di vista neurologico. Tutte le persone presentano gli stessi otto tipi di intelligenza, ma in percentuali diverse. Gardner parla di: intelligenza linguistica, legata alla capacità di utilizzare un vocabolario chiaro ed efficace, intelligenza logico-matematica, che riguarda più il ragionamento deduttivo e le catene logiche, intelligenza spaziale, che comprende la capacità di percepire forme, oggetti e spazio, intelligenza corporeo-cinestesica, circa la padronanza del corpo e la coordinazione dei movimenti, intelligenza musicale, intelligenza interpersonale che riguarda la capacità di comprendere gli altri e promuovere modelli sociali, intelligenza intrapersonale, permette di comprendere la propria individualità e inserirla nel contesto sociale, intelligenza naturalistica, consente di individuare oggetti naturali e classificarli in relazione tra loro. A questi tipi potrebbero poi aggiungersene altri, quali per esempio l’intelligenza esistenziale, che consiste nella capacità di riflettere consapevolmente sulle più profonde questioni umane. Gardner sostiene che tali intelligenze non siano statiche, ma che, anzi, possano essere sviluppate tramite esercizio o decadere nel tempo, che non lavorino mai singolarmente, ma si integrino costantemente nei vari compiti. Come tutte le teorie, in sintesi, anche queste sono un tentativo importante per capire come funzioniamo e come siano articolati il nostro pensare, il nostro agire, il nostro relazionarsi. Alla fine però rimane come elemento centrale la singola persona, nella sua interezza, nella sua originalità, sintesi di infinite caratteristiche, così particolari e uniche, tali che ogni teoria conoscitiva non può che rappresentarle parzialmente.

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