Lupo è nato perfetto a fine aprile 2013 con un cesareo, perché era molto grande (il mio compagno è alto due metri). Quando aveva tre mesi dovevamo andare in Florida e l’abbiamo vaccinato in anticipo, la pediatra ci ha spiegato che era meglio non esporlo alla carica batterica di 12 ore di volo intercontinentale senza difese. Ognuno pensi quello che vuole, ma teneteci fuori dalla mischia sui vaccini. Qualunque sia la causa, e possono essere infinite, qui adesso, insieme a Lupo, a me e a suo padre, c'è solo l'effetto. Allora mio figlio era normale, anzi era avanti, molto sveglio. Dopo la Florida, ha continuato a crescere bene. Aveva già un carattere definito. È sempre stato: testardissimo, deciso, a volte punitivo. Allegro, spigliato, presente.

Devo tornare indietro e cercare indizi? Non era da grandi relazioni, superamorevole, di quelli che fanno ciao ciao con la manina. Ho sempre rispettato il fatto che tutti i bambini sono diversi. L'ho lasciato essere se stesso. È successo a un anno, di punto in bianco ha iniziato a soffrire di mal d’auto. Dopo un po' di curve prima vomitava e poi boom, sveniva. Come per una crisi ipoglicemica. Mi sono presa certi colpi. Adesso so che non teneva lo sguardo, e non riuscendo a guardare fisso ciò che aveva intorno, si sentiva male. Ma appena ci fermavamo, la ripresa era vivacissima. Ad agosto, dopo la Corsica, siamo andati a fare un weekend in Toscana con amici. Lupo ancora non parlava, ma aveva appena cominciato a camminare. Io lo vedevo che ogni tanto zampettando inclinava la testa verso la spalla. Però pensavo: cammina da due minuti, è tornato dal mare, gli darà fastidio l'orecchio.

Finché due carissime amiche con figli molto più grandi, che non sapevano come dirmelo, me lo dissero: «Eli ma sei sicura che Lupo stia bene? Perché vedi, quando lo chiami non si gira, ancora non parla, cammina un po' strano, non sembra segua molto l’azione intorno a lui». Il primo girone in cui entri è quello dell’allarme. «Ha qualcosa che non va», mi ha detto il pediatra, «ma stia tranquilla, la mando da questo grande neuropsichiatra». È lì che inizia l’ossessione, pensi "mio figlio non mi guarda", comincia a sembrarti strano come osserva gli oggetti e studia il loro funzionamento e individua in un istante l’unico capello sul maglione. È un periodo in cui è difficile restare razionale mentre sei colpito da raffiche di informazioni, persone che si esprimono, specialisti, cose da fare.

Entri nel secondo girone infernale di visite, risonanze magnetiche in anestesia, prelievi del sangue, esami audiometrici che concordi al telefono con un professore che esclama: «Ah, eccone un'altra che vuole fare l’audiometria per sentirsi dire che il figlio non è autistico». Quante ne ho incontrate di persone così. Da fine agosto Lupo è stato rigirato come un calzino ed era l’unica cosa da fare, ma gli sono restati addosso i segni e le paure e ora, se bisogna fargli un esame, dobbiamo tenerlo fermo in sei. Comunque, nel frattempo, il primo dicembre di quell’anno ho avuto un infarto. Quello da stress emotivo, si chiama takotsubo reverse. Alle 16, ero a casa e ha iniziato a funzionare e a battere solo il 35% del mio cuore. Mi è venuta una sincope e ho perso i sensi. Lupo era nel lettino con le sbarre e si stava svegliando dal pisolino. Il mio compagno stava facendo la spesa. Mi ha trovata la donna di servizio. Non ricordo nulla, mi hanno detto che è arrivata un'ambulanza, anzi due perché la prima non si faceva vedere e hanno richiamato. Codice rosso, terapia intensiva, 9 giorni in ospedale. Devo prendere i betabloccanti a vita ma fortunatamente la takotsubo non lascia cicatrici cardiache.

Io sono una persona razionale. Non vado alla ricerca di chi mi dice "ma no, signora, suo figlio sta bene!". Non ho bisogno di questo. Però mi fido molto del mio intuito e dal giorno uno di tutta questa storia ho sentito che Lupo non era autistico. Ma non sono un medico e non ho potuto fare altro che intraprendere i percorsi terapeutici che mi sono stati proposti e che hanno portato a una diagnosi di spettro autistico. Il mondo che si occupa di questi problemi in modo tradizionale non fa nessuno sforzo per darti una speranza, una prospettiva. Buttano il tuo caso nel sacchetto dello spettro autistico, e con questa pseudo diagnosi ti dicono "dai, proviamo a fare delle cose e vediamo cosa portiamo a casa, ma senza aspettarci chissà che eh, mi raccomando". Come fa un genitore a vivere così, a dare il meglio al suo bambino se il professionista di turno ti riempie di chissà e di vedremo invece di dire "spingiamo al massimo signora, diamoci dentro con le terapie che forse ce la facciamo"?

Dagli empasse come questo si esce solo grazie a persone con lo sguardo più largo. Io ne ho incontrate due che hanno impresso due svolte decisive. La prima è la dottoressa Anna Rita Verardo, psicologa e psicoterapeuta specializzata nei traumi, da cui ho iniziato ad andare in analisi dopo l’infarto. Mi affascinava la sua teoria, che non è neanche più solo una teoria, sul fatto che noi passiamo ai nostri figli, attraverso il dna, la nostra storia. Con lei ho trovato una spiegazione a quello che sentivo, che Lupo da sempre mi guardava con degli occhi che mi chiedevano: "Tu mi ami? Tanto lo so che non mi posso fidare, che prima o poi mi freghi e te ne vai". Quel suo sguardo io l’ho sempre riconosciuto, uguale al mio di quando ero ragazzina. Perché ho avuto un'infanzia molto complicata, la separazione dei miei, la morte di mia madre quando ero ancora una bambina.

Durante le sedute sono emersi piccoli e grandi traumi. Sono nella mia pelle, nel mio codice genetico. La paura dell'abbandono che ho avuto per tutta la mia infanzia, l'ho passata a mio figlio. E solo lavorandoci e sciogliendola potrò aiutarlo. Anna Rita Verardo mi ha sempre detto di fidarmi del mio istinto, di andare avanti e non fermarmi davanti a nessuna diagnosi. Di scrollarmi di dosso la paura, quel dolore antico e di guardare mio figlio libera dal passato.

Gli orizzonti si aprivano mentre una buona terapia comportamentale sembrava aiutare Lupo, che a quattro anni non parlava, non comprendeva il linguaggio. La valutazione delle sue competenze secondo il test Ados era disastrosa. «Oggi tu gli butti il passeggino e gli togli il pannolino». Mi ha detto così, secca secca, Veronica Tuccillo che ho incontrato con Lupo in un bar alla fine dello scorso agosto. La mia migliore amica l'aveva conosciuta e mi aveva messo in contatto con lei, ex avvocato che ha lasciato la professione dieci anni fa per seguire il figlio autistico. Che ora frequenta la terza media senza sostegno ed è stato iscritto al primo anno di liceo classico. Con impegno e sacrificio, con un inconfondibile piglio napoletano, intersecando pezzi di metodi e intuizioni, ha fondato l’associazione Sempre più in alto e messo a punto un programma educativo per formare i genitori.

Perché sono i genitori a dover fare il lavoro duro, il lavoro sporco, 24 ore al giorno, dopo aver imparato la lezione fondamentale. A me, Veronica l'ha insegnata quel giorno quando siamo usciti dal bar. «Niente passeggino. Vieni Lupo, cammina, andiamo». Lo abbiamo fatto camminare tenendolo per mano, lui si ribellava, si dimenava, come spesso accade quando gli si chiede di fare qualcosa. «Questo bambino vi comanda. Bisogna ristabilire i ruoli. Non c'è sgridata, sculacciata che tenga. Muro Elisabeth, devi fare muro. Usa la "dolce fermezza", come insegna il dottor Castagnini. Forza Lupo».

Il percorso comportamentale è sfiancante. Richiede ai genitori di lottare col proprio figlio, magari due ore e mezza, seduto al tavolo per fargli dire "mamma". Devi sempre vincere tu, altrimenti non otterrai mai niente. Se ti fermi sei perduto, che è poi un principio educativo universale. Dopo un po' sento il corpo di Lupo allentare la presa, calmarsi e lentamente diventa disponibile a imparare lo schema che gli sto mostrando. Una volta che l'ho agganciato, che il livello della sua attenzione è aumentato, impara con una rapidità spaventosa.

Andiamo a Napoli una volta ogni due settimane. Veronica e la sua collaboratrice gli hanno insegnato in due giorni ad andare in bicicletta. Fa educazione al movimento attraverso il gioco motorio. Dello zero che capiva del linguaggio verbale tre anni fa, è arrivato al 60%. Anche secondo un famoso neurologo di Verona con cui collabora Veronica, Mario Castagnini, Lupo non è autistico ma ha un disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività borderline: «Signora, se segue quello che le dico, lo tira fuori suo figlio». Gli ho pianto in faccia di riconoscenza e liberazione perché lo sapevo che dovevo cercare qualcos'altro.

Non so se Lupo parlerà. Ma prima non mi guardava e oggi mi dà baci, mi abbraccia, si relaziona con gli altri e ha acquisito tantissime abilità. Va a scuola felice. Io mi tengo per me la stanchezza di non poter mollare mai, che mi fa andare a letto alle nove di sera appena si è addormentato lui. Non ho ricette per chi sta in una situazione simile perché ogni caso è diverso. Ma una cosa mi pare di poterla dire, come è stata detta a me: non c'è altra via che cercare una via. Studiate. Ascoltate l'istinto. Scavate nelle vostre ferite invisibili. Ci sono porte che aspettano di aprirsi a destra e a sinistra del tunnel.