Dolore, pianto, paura, solitudine e senso di colpa. Queste sono le parole usate dalle donne che hanno avuto un cesareo. O sarebbe meglio dire, nella maggior parte dei casi, che lo hanno "subìto". Ecco qualche testimonianza.

«L'anestesia non funziona, nessuno mi crede (...) L'atto è iper violento, c'è molto sangue, sento un pianto, ma neanche un'ombra di emozione. Mi portano un bambino urlante. Mi ricordo che lo avrei voluto avere tra le braccia il prima possibile. Non è mio figlio, mio figlio è nella mia pancia». Questo racconto agghiacciante è quello di Joanna, 34 anni, madre per la prima volta il 9 gennaio 2018. Come una donna su cinque in Francia, la ragazza ha partorito con un cesareo dopo oltre 24 ore di travaglio. O meglio, «sono stata operata per il mio bambino», rettifica.

Come molte altre donne, Joanna, che desiderava una gravidanza il meno medicalizzata possibile, afferma di non essere stata informata riguardo i dettagli di questo tipo di parto. Lo ha scoperto in ospedale. Nei giorni scorsi sono arrivate in redazione decine di testimonianze incredule e angoscianti. Racconti spesso lunghi e accurati che non possiamo riportare per intero in questo articolo, ma che si possono accomunate tutti sotto la voce di "evento traumatico".

«L'argomento è delicato e doloroso», afferma Karine Garcia-Lebailly, co-presidente dell'associazione Césarine fondata nel 2005. Al momento, il tasso di cesarei in Francia è in aumento da 19811 mentre le informazioni a riguardo, anche l'ascolto, sono al di sotto delle aspettative delle dirette interessate. «L'associazione è nata dalla necessità di condividere queste esperienze, ma anche dal desiderio di essere attori della salute pubblica», prosegue.

La mancanza di scambio e di comunicazione prima, durante e anche dopo il cesareo è la prima cosa che ha denunciato la maggior parte delle donne che hanno accettato di parlare della loro esperienza di parto.

Il 26 maggio 2014, Céline sta per dare alla luce il suo primo figlio. «Sono le 14 e 15. Mentre 10 minuti prima le ostetriche mi avevano detto che avremmo provato con una spinta, vedo entrare 7/8 persone in sala travaglio. Sono tutte in piedi intorno a me e non mi dicono perché. Vengono date delle spiegazioni: inserimento di un catetere perché il mio caso è diventato un'emergenza. Mi ritrovo sola, nuda, sdraiata su un tavolo operatorio, le braccia incrociate. Ho freddo, ho paura, piango. Mi sento crollare il mondo addosso. Non partorirò per via vaginale, in modo naturale. Nessuno mi parla, nessuno mi rassicura», ricorda la giovane madre che racconta di avere seguito un corso di aptonomia (un metodo che permette alla futura mamma di mettersi in contatto con il bambino che porta in grembo usando carezze, ndr) in cui la possibilità di un cesareo era stata definita come rara. Eppure...

Anche Elodie ha avuto il suo primo parto "ad alta tensione" a 21 anni nel 2012: «Sono le 9 e nel giro di 15 secondi si crea un formicaio intorno a me. Sono in sala parto da 24 ore. Ho giusto il tempo di capire: sala operatoria, emergenza, cesareo. Nessuna spiegazione, nessun gesto di gentilezza. Non c'è tempo da perdere a quanto pare. Fa freddo, sono nuda e soprattutto sola. Non ho avuto neppure il tempo di dire "a dopo" al mio compagno. Paralizzata dalla paura, piango (...). Segue l'inferno assoluto. All'improvviso inizia la tortura. Cominciano a tagliare. "Vi prego, fermatevi! Sento tutto". Nessuno mi dà retta. Nessuno mi ascolta. Nessuno mi aveva avvertito. Risultato? Un profondo trauma, morale e psicologico, che sono riuscita a superare solo dopo cinque anni».

Se le conseguenze fisiche di un cesareo sono generalmente note e ben spiegate, le cicatrici psicologiche che questo tipo di parto può lasciare sono meno conosciute e identificabili. A volte si verificano mesi dopo il ricovero in ospedale. «Per molte donne c'è un grosso divario tra ciò che hanno immaginato e ciò che è successo», spiega Karine Garcia-Lebailly. Cosa che genera uno stress post-traumatico, in particolare se si è trattato di un cesareo in codice rosso, cioè attivato in caso di emergenza.

Senza contare il senso di colpa che provano queste madri che pensano di non essere state in grado di fare nascere il loro bambino e che, in più, e di avere sofferto per un atto che ha salvato la vita di entrambi!

«È irrazionale, ma si sentono in colpa. Si chiedono perché sia capitato a loro, perché non sono come le altre mamme. Sta a noi spiegare loro che non avevano scelta. Non è detto poi che dopo un taglio cesareo non si possa avere un parto naturale, eccetto il caso, per esempio, in cui il bambino sia molto grande», spiega Caroline Raquin, ostetrica presso l'Ospedale Louis-Mourier a Colombes e presidente dell'Organisation Nationale Syndicale des Sages-Femme.

«Sono tornata a casa e sono iniziati gli incubi. Ho pianto giorno e notte. Il dolore e la cicatrice mi hanno ricordato ogni giorno il mio fallimento. Non potevo parlare di quella nascita - se possiamo dare questo nome a quell'atto - e tutti dicevano che la cosa più importante era che il bambino stava bene. Lo staff medico non voleva parlarne. Ho avuto una bambina a settembre 2017 in un'altra città e all'avvicinarsi del parto ho chiesto di affrontare l'argomento del taglio cesareo. Non era previsto: le ostetriche mi hanno detto che crea ansia nelle future mamme», ricorda Céline.

Emilie dice tutt'oggi che non si sente ancora pronta per un'altra gravidanza. «Ho troppa paura del cesareo», rivela questa madre, che ricorda il suo parto come «solo urla e un dolore continuo».

Tuttavia, esistono delle modalità, molto semplici, che possono fare vivere meglio un taglio cesareo secondo l'associazione Cesarine. Alcune strutture li hanno già messi in pratica. «Per molti anni abbiamo parlato di un cesareo "attivo" in cui i genitori sarebbero i responsabili delle decisioni entro i limiti dei vincoli esistenti. L'idea è che il cesareo, soprattutto se programmato, è considerato come un piano di nascita, in cui decidiamo, insieme all'équipe medica alcune cose, per esempio, la presenza o meno del coniuge».

Certi modi e un dialogo costante "umanizzano" l'atto secondo Tiffany, che conserva un bellissimo ricordo del suo cesareo: «La mia ostetrica di allora mi spiegava tutti i passaggi e i rumori più inquietanti, dettagli che mi hanno reso partecipe e attiva all'arrivo di mio figlio. Mi ha fatto spingere per fare uscire le spalle, ha risposto a tutte le mie domande e ho anche avuto il tempo di parlare e congratularmi con il papà che era presente dietro a un vetro... Un ascolto totale del mio corpo e una buona sopportazione del dolore».

Tuttavia, Karine Garcia-Lebailly sottolinea: «Parlare dell'atto sì, banalizzarlo no. Il cesareo rimane un intervento chirurgico, non è privo di rischi e può avere conseguenze anche gravi. Ovviamente c'è dolore, ma possono verificarsi anche emorragie o aderenze, un difetto della cicatrice che unisce gli organi tra loro. Senza contare i rischi per il bambino: difficoltà respiratoria, sviluppo di allergie nel lungo termine».

Via marieclaire.fr