Passami quel coso... Sì, l’accendino! Dove ho parcheggiato l’auto? Chi è quell’attore biondo che ha girato quel film in Africa con Meryl Streep? E le chiavi, dove sono finite?
Se mancano le parole, se le dimenticanze quotidiane cominciano a moltiplicarsi, inutile dire che il nostro primo pensiero è che tutto ciò sia solo l’inizio di un inesorabile declino della memoria. Il secondo è fare subito un test per scacciare il fantasma della demenza. A questo punto qualunque medico o neurologo, chiarito che stress e super-lavoro possono giocare brutti scherzi alla capacità di attenzione e quindi alla memorizzazione, ci spiegherà che a tutt’oggi un esame semplice e veloce ancora non esiste.
«Ci sono test cognitivi, neuroimaging, indagini di laboratorio, ma l’unico accertamento capace di dare una risposta sicura è una puntura lombare con ricerca di marker nel liquido spinale. Insomma, non una passeggiata», racconta Simonetta Grilli, ricercatrice del Cnr Isasi a Napoli, coordinatrice del progetto europeo SensApp.
«Ecco perché il nostro consorzio, che raccoglie ricercatori tra Finlandia, Austria, Belgio e Italia, sta mettendo a punto un super-sensore capace di svelare in una goccia di sangue i marker specifici del morbo di Alzheimer (beta-amiloide, tau, tau fosforilata), anche quando i sintomi sono lontanissimi».

In che tempi il test? «Il prototipo è previsto entro i prossimi 3 anni. Poi ci vorranno alcuni anni per poterlo rendere disponibile a tutti. La sfida è ardua ma abbiamo tutte le carte in regola per vincerla». Il perché sia così importante scoprire al più presto i primi segnali di malattia ben presto sarà fondamentale, lo spiega Gialunigi Mancardi, direttore della Clinica Neurologica dell'Università di Genova: «Alcuni nuovi studi dimostrano che specifici anticorpi monoclonali sembrano in grado di ridurre l’anomalo deposito di amiloide alla base della demenza di Alzheimer. Dunque una cura capace di bloccare all'origine la malattia sembra ormai vicina, purché si arrivi a davvero all'inizio. Per questo sarà cruciale una diagnosi precoce efficace».

Se il pin sfugge, nel frattempo cosa può fare una persona nel pieno dell’attività professionale con un mutuo da pagare, quando si rende conto che avrebbe bisogno di qualche megabyte in più anche per la propria mente? «Rivolgersi a un neurologo, che attraverso domande e questionari mirati può capire se certi sintomi sono dovuti solo al surmenage e all’eccesso di informazioni e dati da gestire, o se servono verifiche più approfondite. Precedenti di demenza in famiglia rendono questo iter caldamente consigliabile», risponde Mario Zappia, segretario della Società Italiana di neurologia, e direttore del dipartimento di Neuroscienze del Policlinico di Catania.

C’è una “modica quantità” anche in fatto di dimenticanze? Quali sono i segnali più preoccupanti? «Sicuramente i comportamenti atipici devono farci riflettere: se bruciamo le pentole mentre fino a ieri eravamo dei maghi in cucina, se ci risulta difficile ritrovare un luogo o un percorso familiare, se pin e password ci sfuggono e fare operazioni con l’home banking diventa un percorso a ostacoli, forse qualche cosa non va».

Possibile prevenire tutto questo? «Se non c’è un problema genetico, che richiede un supporto super-specialistico, la prevenzione sta tutta nello stile di vita: studio, socializzazione, una dieta davvero completa, riposo... Ma quando lo dico le persone alzano gli occhi al cielo pensando che sia scontato. E invece non lo è affatto: talvolta non ci rendiamo conto che la nostra quotidianità, lo stress sono di per sé “brucia-neuroni”».

Ci spiega meglio? «Prendiamo l’alimentazione. Noi italiani abbiamo dalla nostra la tradizione mediterranea, che con gli acidi grassi polinsaturi di pesce azzurro, olio d’oliva e legumi, i polifenoli del vino rosso, le antocianine della frutta e della verdura fresca, le vitamine del gruppo B del grano e dei cereali offre il meglio per il buon funzionamento del cervello. Eppure nei nostri ambulatori cominciamo a rivedere malattie tipiche dei Paesi a basso sviluppo: parlo di neuropatie e mielopatie da deficit di vitamina B12 legate a una dieta totalmente priva di cibi di origine animale». E pensare che basterebbe qualche tuorlo d’uovo o una pasta alla vongole ogni tanto per prevenire tutto questo, se non si vogliono assumere integratori. «Per non dire degli altri fattori tossici per i neuroni», continua il professor Zappia. «Per esempio lo stress elevato che produce glucocorticoidi dannosi per l’ippocampo, sede dei processi mnemonici. La deprivazione di sonno, che l’esposizione notturna ai social sta amplificando. L’abuso di psicofarmaci e in particolare di benzodiazepine, ma anche di alcol, di cannabinoidi... Tutte cattive abitudini e compulsioni della modernità».

Dato che una pillola della memoria non esiste ancora, le soluzioni all’orizzonte sono altrettanto complesse? Carlo Miniussi, direttore del Centro Mente/Cervello e docente di Neurofisiologia all’Università di Trento, studia da anni la Tms, ovvero la stimolazione magnetica cerebrale, per potenziare apprendimento e memorizzazione. «Abbiamo testato la Tms sui volontari sani, e il primo sono stato io. Per questo posso dire con cognizione di causa che questa tecnica, per ora sperimentale, sarà utile per chi ha patologie neurodegenerative. Ma per tutti gli altri è superflua. La plasticità neuronale, ovvero la capacità del cervello di evolversi e rafforzare funzioni latenti grazie all’ambiente, viene attivata molto di più dalle buone esperienze: studio e aggiornamento fino a 100 anni, musica e letture, una dose sufficiente di sonno che consolida e memorizza i dati appresi nella giornata, una rete di amici, relazioni. E dal movimento. Io, che sono pigro, l’ho sperimentato su me stesso all’Università di Oxford facendo ogni mattina mezz’ora di esercizio: con mia sorpresa le performance mentali, misurate dai test, erano migliorate».

Per chi non si accontenta, l’ultima soluzione è quella di Barbara Sahakian, professore di Neuropsicologia alla Cambridge University, che con The Decoder, “strategy game” già disponibile su app, ha dimostrato di migliorare in 40 giorni capacità di concentrazione e prestazioni mnemoniche in persone con traumi cerebrali e gravi disturbi mentali. L’idea? «Use it or lose it». In fondo è sempre la stessa.