Sull’aereo da casa mia, a Parigi, verso Milano, da dove mi sarei trasferita per una settimana alla spa Henri Chenot de L’Alberet a Resort sul lago d’Iseo, facevo il conto di tutti i medicinali presi durante gli scorsi dodici mesi. L’elenco coincideva con i miei ultimi reportage: tre dosi di antibiotici per la pancreatite a Tripoli, una sinusite e altri antibiotici a Bengasi, un’infezione all’orecchio al Cairo, steroidi per la tendinite alla gamba sinistra a Belgrado e Sarajevo, emicranie continue nel Sud Sudan. E una nuova tendinite a Tunisi. Avevo anche una tosse persistente, presa in Kenya, che mi aveva seguito per tutto l’autunno nei Balcani e di nuovo in Africa.A marzo tossivo ancora. E non la sopportavo più.

Ero esausta di essere costantemente malata. Il 2011, con la “primavera araba”, è stato un anno grandioso per noi reporter, ma un anno schifoso per la mia salute. Sono una che passa un sacco di tempo sugli aerei e in posti dove non è per niente facile procurarsi frutta e verdura fresche e otto ore di sonno. Ho già un sistema immunitario compromesso, a causa dei molti anni trascorsi in aree dilaniate dalla guerra. E mi ammalo in un batter di ciglia. In più, ho un figlio di otto anni che porta a casa ogni genere di germe da scuola per trasmetterlo a sua madre. Avevo anche quattro chili in più rispetto a un anno prima e mi sentivo vecchia e stanca. Sull’aereo ho buttato via le aspirine. Stavo andando all’Espace Vitalité Henri Chenot per una settimana detox, e non volevo essere tentata di prenderle durante i primi tre giorni, quando sapevo che un mal di testa lancinante mi avrebbe stroncata.

Conosco i sintomi del detox. L’ho provato altre volte, l’ho fatto fino a cinque settimane, e sono una forte sostenitrice del concetto di ripulire e rafforzare il nostro organismo. Il metodo Chenot sostiene che farlo una volta l’anno aiuta a ridimensionare il processo di invecchiamento. E vedere le fotografie di Danielle Chenot, una bellezza che risplende di salute e giovinezza (e avrà circa una sessantina d’anni), è abbastanza da far pensare che funzioni.

Avevo fatto un’esperienza in Austria, alla quale riconosco il merito della nascita di mio figlio dopo quattro aborti spontanei. Era stata talmente dura che ho bevuto solo infusi alle erbe per ventuno giorni. Alla fine se ne esce vivi e pieni di energia, con gli occhi che brillano, la pelle luminosa e i capelli lucenti. Ma ne vale davvero la pena vista l’intensa agonia per la fame, le emicranie, le ossa doloranti, la depressione e le febbri? L’ultima volta avevo giurato: mai più! Questa volta sapevo sarebbe stato diverso. Il metodo Chenot è un’altra cosa. Si rinuncia agli zuccheri, al grano, al latte e i suoi derivati, alla caffeina e alle proteine animali, ma non si prova nulla di simile al dolore.

Ho portato Luca, il tesoro della mia vita, mio figlio, e lui sedeva accanto a me a pranzo e a cena assaporando i fantastici spaghetti al ragù dello chef, mentre io mangiavo tofu. Ma che tofu! Tutto a L’Albereta è presentato in maniera meravigliosa e insaporito con peperoncino fresco, basilico, pomodori e verdure biologiche. Franco, il capo cameriere, si sedeva e mi scriveva le ricette per il pesto fresco o per arrostire le verdure alla perfezione. Il giorno della partenza mi sono stati concessi gli spaghetti. Dopo un po’ ti dimentichi che stai mangiando una salutare cucina vegetariana, tanto è delizioso. Durante il giorno andavo alla spa per non pensare al cibo.

Il metodo Chenot si basa sulla medicina tradizionale cinese, fitoterapia e idroterapia. Il medico mi ha diagnosticato una costituzione “gialla” con un misto di “verde” (tendo cioè a perdere e riprendere peso velocemente, e mi ammalo facilmente). Sono stata messa a dieta rigida (incluso un digiuno di ventiquattro ore di soli liquidi il terzo giorno, che non è stato così tremendo come sembra). E poi, agopuntura in punti specifici per rinforzare il sistema immunitario e dosi giornaliere di vitamine. L’idroterapia consiste nello stare a lungo immersi nella Jacuzzi e in bagni di fango, per spingere le tossine a uscire dagli organi affaticati, raggiungere in fretta il fegato e alla fine abbandonare il corpo. Ogni giorno era previsto anche un massaggio che si soffermava su organi diversi: una volta il fegato, un’altra i polmoni, la milza e così via. Non si trattava tanto di un massaggio di bellezza, quanto di un allenamento.

Quando sono ripartita mi sentivo come dopo una maratona. Non voglio mentire. I primi quattro giorni sono duri. Si hanno forti mal di testa (ho imbrogliato: il terzo giorno ho preso due antidolorifici che avevo nascosto in borsa) e si ha la sensazione di avere una brutta influenza. Avevo portato libri e giornali per scrivere, ma persino io, una personalità di tipo A (workaholic, senza tregua), non sono riuscita a sollevare il computer nemmeno per controllare le email. Forse è stato un bene. Invece ho camminato a lungo nei magnifici prati de L’Albereta con Luca, ho fatto yoga e ammirato i primi fiori di primavera. Mentre tutte le tossine abbandonavano il mio corpo, la mia mente rallentava. Mi sono rifiutata di controllare il peso, perché la settimana detox per me non era tanto un’occasione per dimagrire quanto per combattere le varie malattie e prepararmi all’offensiva in arrivo della mezza età.

Tutti quelli che conosco che hanno provato il metodo Chenot mi avevano anticipato che è un’esperienza che ti cambia la vita. E solo l’ultimo giorno ho capito il motivo. Al momento della partenza sono rimasta scioccata quando il medico mi ha comunicato che avevo perso cinque chili. Anche lei era sorpresa perché, ha detto, le donne non dimagriscono così tanto di solito, ma questo dimostra quanto fossi intossicata, e quanta acqua stessi trattenendo (gli steroidi per le infiammazioni ai tendini di certo non hanno aiutato).

L’ultimo giorno sono andata alla boutique dell’hotel e mi sono portata a casa degli orecchini di giada che ho tenuto d’occhio tutta la settimana (Giovanna, la proprietaria, ha indubbiamente la selezione di gioielli, scarpe, borse e cappotti più chic e ricercata che io abbia mai visto). Mi merito un regalo, mi sono detta. E la giada in Cina significa “impegno” e io ora voglio impegnarmi per la mia salute.

Non è semplice disintossicarsi, ma i risultati sono davvero impressionanti. Sono a casa da circa tre settimane e la dieta che mi hanno dato da seguire gli esperti di Chenot mi ha davvero cambiato la vita. Mangio meno carne e proteine animali, ho imparato ad amare il tofu, le noci, la pasta senza glutine, e vado al mercato davanti casa mia a comprare zucche, peperoni e melanzane. Ho imparato ad abbinare le verdure a seconda del colore e ho abbandonato il caffè, ora prendo solo tè verde, un antiossidante naturale. Leggo sempre le confezioni del cibo per essere sicura che non contengano additivi e ho definitivamente bandito da casa tutti i dolcificanti artificiali e il cibo-spazzatura. Sento di essermi liberata del mio vecchio corpo e di averne uno nuovo.

C’è energia dove una volta c’era solo spossatezza, non sento più quel momento di abbiocco alle quattro del pomeriggio quando tutto ciò che volevo fare era sdraiarmi e dormire. Ora bevo un tè verde ed esco a fare una passeggiata. Certo, devo ancora fare molta strada per raggiungere l’età della signora Chenot, ma vedere lei e la sua bellezza non mi fa più avere paura di affrontare il futuro.