“Una malattia improvvisa, un incidente, un'aggressione o un disastro naturale: queste sono tutte esperienze traumatiche che possono turbarci e cambiarci. Suscitano in noi sentimenti potenti e inquietanti che di solito si sedimentano nel tempo, senza alcun aiuto (terapeutico ndr) professionale” riassume così il suo intento la pagina del Royal College of Psychiatrists della sezione Mental Health, un pratico interfaccia, datato 2016 ma ancora attuale. Una delle molte forme di sostegno digitale per utenti in cerca di un supporto che non sempre ha nome e forma, che è definibile - a grandi linee - come trauma collettivo. La domanda “come far fronte a un evento traumatico?” entra di rigore nel set di domande che ha risvegliato chi di noi, tra la notte del 7 e dell’8 marzo, ha letto il decreto legislativo urgente firmato dal governo italiano per il contenimento del contagio da Covid-19 nella regione Lombardia e in 14 province del Nord Italia. "Evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza" si legge nell'articolo 1 comma a), cui fanno seguito altre disposizioni volte a regolamentare una casistica più ampia possibile.

La diffusione del virus si è tradotta in norme urgenti e obbligatorie da rispettare. I dati sui contagi da Coronavirus parlano e si modificano costantemente: sono il fattuale di questa vicenda mondiale. Ma c’è un lato “privato” del Coronavirus che non ha numeri e ci riguarda tutti. Le cifre possono dividere l'opinione pubblica e nella grande incertezza di questi giorni, la situazione sanitaria, sociale ed economica ha eroso il senso di realtà, è diventata emergenza che sospende la routine, ha travolto il quotidiano con l'extra-ordinario. L’ordinario di tutti noi è cambiato e cambierà: non tutti ce ne accorgeremo o subiremo il cambiamento nello stesso momento. Da qui il motivo per cui pagine web come quella proposta gratuitamente dal RCoP diventano supporti che ci mettono a confronto con problemi che, spesso, non conosciamo ancora: "(questa pagina…) descrive il tipo di sentimenti che le persone hanno dopo un trauma, cosa aspettarsi con il passare del tempo e menziona alcuni modi per affrontare e venire a patti con ciò che è accaduto".

Punto primo: ammetterlo. Stiamo subendo un trauma collettivo, veniamo a patti con "lui". Dobbiamo prepararci ad affrontarlo, consapevoli che non potremmo farlo da soli: lo shock per ciò che stiamo vivendo si svilupperà in forme diverse, non di immediata comprensione per tutti. Il paragone con i fatti del passato aiuta, confonde o esagera quello che una comunità sta vivendo? L’influenza spagnola del 1918, le epidemie di peste (1348 e 1630) raccontate in letteratura da Giovanni Boccaccio e da Alessandro Manzoni, fino alle recenti SARS ed Ebola, sono alcuni dei paragoni mossi nelle ultime settimane. Settimane in cui, analisti, medici, figure istituzionali, hanno paragonato l'emergenza Coronavirus alla guerra, forse per dare un'idea maggiore della sospensione della normale quotidianità. Si confrontano i numeri, le crisi, ma va sempre in secondo piano il senso di spaesamento che traumi del genere provocano nel genere umano dall’isolamento forzato alle forme di solitudine coatta. Perché c'è una differenza sostanziale: i conflitti spaccano le comunità in nome di un'ideologia e polarizzano tramite a seconda dello schieramento; in una situazione di alto rischio di infezione per un numero considerevole di persone, l'ideologia sta a zero. In comune hanno solo il concetto di trauma collettivo: una massa di persone coinvolte in un evento - una guerra, una calamità naturale, un attacco terroristico - che rompe il quotidiano svolgersi degli eventi.

Punto secondo: conoscerlo. Stiamo subendo un trauma collettivo anche se ognuno di noi lo elabora in forme diverse. Il contesto di alta infettività e di rapido contagio del Covid-19 alimenta in noi uno stress che potrebbe portarci alla forma più estrema, il Post Traumatic Stress Disorder o al suo opposto, le negazione del trauma vissuto. Nella rosa di sentimenti che possiamo provare contemporaneamente davanti a tragedie come queste il RCoP parla di senso di colpa (per essere sopravvissuti a qualcuno o non aver sofferto tanto quanto), imbarazzo (per non saper controllare i propri sentimenti), speranza (che tutto possa tornare come prima). Siamo prede di emozioni che non sappiamo gestire: la paura, la rabbia, la tristezza, l'incredulità, sono tutte sensazioni legate al nostro stato di shock. Ed è umano non sapere cosa fare, è umana l'alternanza di sensazioni nata dalla quarantena, sono umane le domande più banali "Niente aperitivo? Il cane fuori lo posso portare? E la spesa?". Le abitudini ci fanno sentire al sicuro, per questo vogliamo preservarle. Ma a un certo punto, la realtà dei fatti è improrogabile: in uno stato d'emergenza la routine e la normalità non esistono più. Come fare?

Punto terzo: affrontarlo. Stiamo TUTTI subendo un trauma collettivo, ridefiniamo insieme la nuova routine. Una situazione di disagio condivisa da milioni di persone potrà essere superata insieme? Si resta sospesi a guardare, si attendono decisioni istituzionali. Quando ci dicono cosa fare per evitare il contagio e, di conseguenza, non essere messi in quarantena le regole ferree che siamo chiamati a rispettare sono per tutti noi, non funzionano per esclusione: da cui si creano nuove comunità attive, che agiscono in modo empatico condividendo principi urgenti, attuali, nuovi, nati dall’emergenza. Tra i consigli su cosa NON fare in periodi di grande trauma l’RCoP specificanon apportare grandi cambiamenti alla vita. Cerca di rimandare qualsiasi decisione importante: il tuo giudizio potrebbe non essere lucido e potresti prendere decisioni di cui ti pentirai. Chiedi consiglio alle persone di cui ti fidi” a conferma che l’auto-isolarsi anche psicologicamente, e agire in solitaria, può annullare l’unico lato positivo di un evento drammatico: la nascita di un noi, la riprova della sostenibilità umana.