Romantica e con uno strategico effetto cocoon. Questa poetica town house parigina è stata infatti ideata per essere il luogo d'incontro privilegiato tra una scultrice fiorentina e il marito, finanziere a Londra. Un rifugio per due «raffinato, elegante, eppure a tratti sorprendente», realizzato da Anne-Sophie Pailleret, che ha saputo tradurre alla perfezione il sogno di intimità della committenza nei centosettanta metri quadrati all'ultimo piano di un signorile edificio haussmanniano, nel sesto arrondissement.

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Stephan Julliard
Nello studio, l’iconica chaise-longue LC4, di Le Corbusier, Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand, Cassina; coffee table Bell, di Sebastian Herkner. Sul mobile a muro dell’Atelier Martin Berger, lume Helios, di Julien Barrault; la luce Vadim, a parete, porta invece la firma della Maison Sarah Lavoine.

Il primo, folgorante contatto della padrona di casa con l'interior designer francese – uscita dalla prestigiosa École Boulle e a lungo assistente di Jean-Louis Deniot – è avvenuto attraverso le pagine di una rivista. «Ho visto un progetto di Anne-Sophie e ne sono rimasta incantata; si trattava di una dimora armoniosa, impreziosita da oggetti e arredi dalla forte personalità. Ho capito subito che era la persona giusta per me», confida l'artista.

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Panca di Kann e bronzetto di Sophie Cahu.

Dopo qualche riunione, le due donne hanno iniziato un lavoro a quattro mani, il cui risultato finale è una residenza capace di parlare il linguaggio di entrambe: avvolgente e confidenziale, accarezzata da una palette suadente nei toni del grigio e del rosa, in sinergia con i tetti in ardesia della Ville Lumière e la luce delicata che filtra dalle vetrate orientate a sud. Una tavolozza accesa dai guizzi d'oro su cornici, lumi, chandelier e tavolini. Come quello in salotto, dalle gambe a zampa d'uccello, firmato Meret Oppenheim, musa del Surrealismo, modella preferita di Man Ray e autrice di eccentrica visionarietà.

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A muro, specchio scultoreo, di Garouste & Bonetti.

Negli ambienti ovattati, l'arte entra in punta di piedi con selezionatissimi pezzi contemporanei dal respiro classico, opera di due fuoriclasse: Robert Bodem e Sophie Cahu. I loro bronzetti – teste, torsi, figurine muliebri – si incrociano qua e là, posati su un fusto di colonna in salotto, su un ripiano della libreria nello studio o sulla credenza in mogano Luigi XVI, elemento forte della sala da pranzo.

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Il corridoio è foderato con la carta da parati Malabar, di Cole & Son.

Eredità di famiglia, quest'ultima, assieme al dining table e alle sedie della stessa epoca, in una piena uniformità di stile. «Ho tuttavia insistito per un intervento attualizzante, decidendo di modificare il top del tavolo. E ho chiesto alla decoratrice Florence Girette di dipingere su vetro un pattern che simulasse il marmo», spiega Pailleret. Un gesto velato di ironia teso a interrompere la composizione dal dichiarato Dna antiquario, una deviazione dall'ovvio capace di destare stupore, al pari della sospensione Malagola, di Catellani & Smith, con le sue scenografiche linee antropomorfe.

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Seduta Stay, di Nika Zupanc per Sé.

«Gli interni devono avere un'anima, che è sempre data da qualche componente capricciosa e inaspettata». Un'altra scelta anticonvenzionale è stata quella di non esibire quadri alle pareti, delegando a soluzioni décor un'accentuata qualità pittorica. Accade nell'area kitchen, dove il blocco cucina sfoggia inserti in nero opaco dalle candide striature, puntuale rimando al maestro del Gestualismo europeo Pierre Soulages. Allo stesso modo, ingresso e corridoio sono ornati dai carismatici grafismi bicolori delle wallpaper.

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Attualizzazione di pezzi di famiglia in stile Luigi XVI. Al tavolo è stato aggiunto un top dipinto a effetto marmo, da Florence Girette; le sedie sono rivestite in velluto di seta Zimmer + Rohde. Lumi Maison Rougier e specchio del gioielliere Robert Goossens. Sospensione Malagola, di Catellani & Smith.

«Adoro le stampe black & white, protagoniste di autentici coup de théâtre, in particolare negli spazi di passaggio spesso sacrificati», rivela Anne-Sophie. I suoi riferimenti estetici, del resto, sono l'Art Déco, il design talvolta folle degli anni Settanta e Jean Royère, maestro francese amatissimo nel Dopoguerra dai sovrani del Medio Oriente per il suo stile audace e fiabesco. In ogni stanza sono stati preservati gli stucchi scultorei («Vista la mia professione, non avrei potuto rinunciarci», afferma la proprietaria), in una matericità che torna nei dettagli ispirati al mondo naturale: le maniglie in cristallo di rocca, la maschera in conchiglie di Thomas Boog e l'affascinante lampada Palazzo di Maison Charles, composta da foglie di ginkgo in bronzo.

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Consolle con luce Palazzo, di Maison Charles; wallcovering Riflesso, della collezione Fornasetti, Cole & Son.
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Nella cucina, tavolo custom-made in bronzo; sospensione Calypso, Designlush. Pavimento Hexagonal, di Jaime Hayon, Bisazza; carta da parati Malabar, di Cole & Son.

Altre suggestioni tattili arrivano dai tessuti (su intere pareti, armadiature custom-made e sedute), in una dimensione felpata; femminili e ammiccanti alla moda, grande passione di Anne- Sophie, che conclude: «La ciniglia della panca in soggiorno, per esempio, è un tributo alle iconiche giacche Chanel. Mi piace l'idea che tutte le stoffe della casa si possano indossare, in una sensuale "vestibilità abitativa"».

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Panchetta in silk lamé Lelièvre e armadiature in seta di Arte.


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Cassettiera di Moissonnier con maschera in conchiglie, di Thomas Boog, e lampada Don Giovanni, di India Mahdavi.
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La designer Anne-Sophie Pailleret.

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Pavone decorativo, di Deyrolle.


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Vocazione tessile nella camera padronale: panca in seta di Nya Nordiska con cuscino Rubelli; copriletto di Pasaya e testiera in satin, di Créations Métaphores; tendaggi Pierre Frey. Entrambi Anni 40: specchio italiano e lampadario in metallo martellato, scelto su 1stdibs.com.