Nella fotografia in alto. Nell'ingresso dal fascino teatrale, coffee table in alluminio con finitura dorata, di Designlush; poltrona in stile Art Déco, selezionata da Charlene Asdourian Antiques; sofà di famiglia; lampadario in seta Scheherazade, di Stephanie Odegard. Tappeto Tufenkian. Tutti i quadri sono dell'artista armeno Tigran Matulian.
A pochi metri di distanza si erge il Flatiron Building, dalla caratteristica forma a "ferro da stiro"; tutt'intorno, le fronde degli alberi di Madison Square Park regalano una ritemprante boccata di ossigeno. Qui, a Manhattan, sulla 5th Avenue – una decina di isolati dall'Empire State e dal Greenwich Village – il cuore di New York batte forte, trasmettendo un'elettrizzante, contagiosa energia.
Un'imprenditrice del mercato immobiliare, di origine armena, ha scelto questo contesto esclusivo per il suo appartamento, in uno degli iconici landmark cittadini: il Sohmer Piano Building, che per importanza storica e stilemi architettonici è protetto dalle leggi di salvaguardia del patrimonio edilizio. Il palazzo in stile neoclassico fu progettato da Robert Maynicke (1849 – 1913), «pioniere del moderno concetto di loft», secondo The New York Times. Il rivoluzionario edificio, che sfoggia una cupola dorata sostenuta da due strutture a ottagono sovrapposte, vide la luce nel 1897. Inizialmente era la sede dell'omonima azienda produttrice di pianoforti; in seguito – dopo il trasferimento della stessa nel Queens, durante i primi anni del Novecento – è stato riconvertito a uso residenziale. E le abitazioni sono davvero all'altezza di un passato tanto glorioso. Come la dimora di queste pagine: duecentocinquanta metri quadrati al quinto piano, con una vista da batticuore, ovvero lo skyline nel suo inebriante disordine, tetti più bassi a perdita d'occhio, le tipiche cisterne per l'acqua e la brulicante rete viaria.
L'ideazione degli interior è stata affidata a Garrow Kedigian: professionista canadese che ha aperto uno studio a New York nel 2001, guadagnandosi un'eccellente clientela internazionale. Il suo primo intervento ha riguardato il layout ed è stato in controtendenza. L'open space preesistente è stato infatti frazionato a favore di un'organizzazione articolata in vari ambienti intimi, ognuno con una forte personalità e un potente impatto scenografico, in un'infilata di spazi, prospettive a cannocchiale e un'audace palette. L'ingresso è l'apoteosi del concept creativo: gusto europeo con accenni orientaleggianti, fuori da ogni conformismo, e mano ferma nel tenere sotto controllo l'enfasi decorativa. «Per la hall mi sono ispirato al foyer della Astor Library.
Ho disseminato dettagli golden, dalla libreria al tappeto, fino ai quadri, capaci di donare lampi luminosi nel riflettere, amplificandola, la luce naturale», rivela Kedigian. Alle pareti un colore intenso e cangiante – in una gamma tra l'indaco e l'ametista – conferisce drammaticità, al pari del maestoso lampadario Scheherazade a tre livelli, con l'anima in ottone e un paralume in seta avorio. Lo ha creato Stephanie Odegard, da anni impegnata a promuovere e sostenere il savoir-faire delle tradizioni asiatiche.
Il linguaggio teatrale prosegue nel living riccamente vestito: stoffe vibranti sulle sedute delle due distinte aree conversazione e un tripudio di cuscini, complici i migliori brand del settore (Nancy Corzine, Quadrille, Pierre Frey e David Sutherland); i tendaggi sono pensati come sontuosi sipari, sui quali esibire le numerose opere d'arte di autori armeni. Visto il ruolo da protagonista attribuito a tessuti e imbottiti, Kedigian si è rivolto a un tappezziere di fama: Albert Vitiello, a Long Island, che ha rivisitato la testiera del letto nella camera degli ospiti, nonché le sedie della sala da pranzo, attualizzandole con un motivo grafico a labirinto splendidamente abbinato alle fantasie floreali argentee delle poltroncine gemelle.
Per realizzare la base portante del dining table da lui disegnato – un complesso intreccio di linee di memoria "cubista", in acciaio e bronzo rifinito a foglia oro – il creativo ha chiamato la Morgik Metal Designs. «La collaborazione con artigiani di incomparabile maestria è fondamentale per me: garanzia imprescindibile di attenzione alla qualità e al singolo particolare», commenta.
L'effetto finale è di una meravigliosa sensualità tattile, con un'atmosfera che evoca un harem ammaliante. Forte è il richiamo a luoghi lontani carichi di fascino, anche se le vibrazioni urbane rimangono presenti in sottofondo. L'antiquariato è accostato a pezzi di spiccata modernità; i divani Donghia dialogano con una preziosa consolle selezionata da The Antique and Artisan Gallery (a Stamford), mentre quelli bespoke in tinta ruggine abbracciano un coffee table gioiello dello studio John Boone. La credenza scultorea dalle ante scintillanti "a oblò" – uno dei pezzi dell'imponente patrimonio di famiglia tornati a vivere in questa location speciale – accoglie una coppia di lampade vintage; poi, lo stupore si accende dinanzi a un maxidipinto del giovane pittore Elliot Osgood. Nei vari locali l'opulenza è sempre bilanciata dalla sobrietà, in un virtuoso gioco degli opposti, e le geometrie incontrano trame botaniche. L'oasi esotica nel cuore della megalopoli diventa un sogno a occhi aperti, per rileggere Le mille e una notte con la sensibilità di oggi.