Nella foto in alto. Nel living, il pannello a tempera firmato Eva Germani costituisce la trasposizione pittorica di una fotografia di Monia Merlo. Poltrone degli Anni 70, in velluto Decortex Firenze, e luce di Renzo Serafini; qui, tavolo da sartoria con voliera, tutto XIX secolo. Sullo sfondo, la padrona di casa Francesca Orsi.

Talvolta le storie d'amore richiedono lunghe attese. Sono nutrite di momenti, pause e illuminazioni, finché scocca la scintilla del desiderio. È quanto accaduto a Francesca Orsi, arredatrice e ora felice proprietaria di questa dimora del Seicento nel cuore di Guastalla, in provincia di Reggio Emilia: idilliaca cittadina dai vicoli che si accendono di colori vivaci e dalle impalpabili atmosfere zavattiniane. In lontananza, aleggia la presenza del Po. «Avevo visto il palazzo diversi anni fa, mentre mi stavo trasferendo da Parma per avvicinarmi al mio compagno di allora, Andrea Coltri, titolare dello studio d'interior L'Orangerie, con sede qui. La folgorazione, però, è arrivata molto dopo. Quando ci siamo separati, abbiamo sentito l'esigenza di vivere uno vicino all'altra, assieme ai nostri bambini, senza tuttavia compromettere la ritrovata autonomia da neosingle. Solo allora ho capito che questo luogo dallo charme fané rappresentava la soluzione perfetta», racconta lei, che oggi condivide la professione con l'ex partner. La particolare tipologia della struttura – tre ali sviluppate attorno a un giardino, poi trasformato in orto e costellato di rose candide – si prestava magnificamente allo scopo: ricavare due appartamenti di dimensioni generose, indipendenti ma contigui, con il cortile a fungere in parallelo da filtro e trait d'union.

Mastice, fango e tortora accesi da rosso e azzurro: la stessa dolce palette delle sponde sul fiume Po

Francesca ha voluto conservare nel suo nido le finiture originali, danneggiate da infiltrazioni e umidità causate dallo stato di abbandono, e ci è riuscita promuovendo sottili coup de théâtre, frutto del proprio know-how unito all'abilità di artigiani qualificati. «Per me era fondamentale mantenere vivo il senso del tempo e rispettare il genius loci; così ho mixato alchimie floreali – che adoro – e fondali raw punteggiati di rosso e ocra». Ecco allora i pavimenti a lisca di pesce in rovere invecchiato, recuperato dalla demolizione di una villa, in sostituzione dei massetti deteriorati; i termosifoni in ghisa arrivano da una tenuta d'epoca genovese (ovviando alla totale assenza di riscaldamento). Le vetrate affacciate sul patio hanno guadagnato cornici in ferro su misura, in spontaneo dialogo con i vecchi infissi lignei rimasti integri sulla facciata. «Ma anche le nuove maxifinestre verranno a poco a poco avvolte da una seducente patina d'antan», assicura Orsi, regista di ogni fase del restauro durato tre anni, senza il ricorso all'aiuto di un architetto.

Per gli straordinari dipinti a muro – magnificente elemento al centro del concept – è stata coinvolta Eva Germani: pittrice e decoratrice, che oltre a collaborare con L'Orangerie crea prototipi per le wallcovering di Wall&decò (è il caso degli immensi papaveri nel dining, ispiratori della collezione Pavot del brand). «Francesca mi aveva raccontato della sua viscerale passione per il verde e i fiori. Il mio compito è stato tradurre iconograficamente il sogno a occhi aperti di un giardino domestico», rievoca l'artista, che ha elaborato una serie di tecniche personali; impiega tempere alla caseina (una proteina del latte) e pigmenti naturali, poi le stende con ampie pennellate direttamente sulle pareti oppure, di preferenza, su carta da pacco e da scenografia, più ruvida rispetto alle comuni tele.

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Marie Claire Maison
A sinistra, nello studio, tavolo francese con piano in ceramica proveniente da L’Isle-sur-la-Sorgue, in Provenza; divano vintage acquistato a Parma, in velluto originale. Il parquet intagliato è recuperato da una villa demolita. Accanto, una tempera su carta da scenografia, di Eva Germani.

Il risultato è incantevole: fascino délabré in ideale sintonia con gli ambienti dall'anima antica e i pochi affreschi preesistenti sopravvissuti. Le stanze si articolano su tre piani, rese maestose dai soffitti imponenti – come da tradizione nelle residenze nobiliari – e mansardati al livello superiore, per ora lasciato "vuoto": «Perché intendo regalarlo ai miei figli quando saranno cresciuti; uno spazio da condividere con gli amici», confida la padrona di casa. Il layout non è stato modificato e tuttora si configura come un'infilata di locali attigui e comunicanti, spesso senza corridoi. Non è stato demolito alcunché e per la cucina si è ricorso all'escamotage di un doppio vano; due piccoli studi costituiscono l'unica aggiunta funzionale. Ovunque dominano i mobili vintage – sola eccezione, il blocco kitchen dal contemporaneo tratto minimalista – valorizzati dalle tonalità neutre delle superfici, con variazioni dal tortora al mastice. Altri pezzi sono di antiquariato puro (in primis i rari tavoli da sartoria ottocenteschi), frutto di una ricerca capillare tra i déballage francesi e internazionali.

In questa partitura dal ritmo ammaliante squillano qua e là le "note alte": divanetti di un intenso turchese e ottanio, nonché una coppia di poltroncine rosa cipria, in garbato abbinamento con le sfumature delle figure femminili sul pannello alle loro spalle, sempre opera di Eva Germani e libera interpretazione di una fotografia di Monia Merlo. Infine, l'effetto speciale di lampi senape e bordeaux nel guardaroba. Nella camera da letto l'atmosfera raggiunge l'apice della rarefazione, ai limiti del monacale: pochissimi arredi a vocazione tessile e décor scarno. Una vera sublimazione estetica, nello spazio votato al riposo e a visioni oniriche di bellezza.