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Un appartamento a Beirut, versione solare del minimalismo

Lo stile squisitamente francese incontra i bagliori dorati del Mediterraneo

Di Ian Phillips e Silvia Icardi
Un appartamento a Beirutpinterest
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Una delicata magia aleggia in ogni stanza, con elementi coerenti abbinati in infinite varianti della stessa tavolozza: versioni diversificate solo per pochi e puntuali dettagli. L'affresco risulta di armoniosa serenità, in contrasto con lo scenario all'esterno. Perché siamo a Beirut, affascinante città multiculturale, ma caotica e in convulso movimento. Il traffico impazza, la gente si riversa nelle strade e nei caffè, la vita notturna non conosce tregua. Eppure, da questo appartamento i rumori giungono attutiti e la metropoli mostra il suo lato più quieto. Dalle ampie vetrate risuona solo il moto uniforme e ipnotico dei marosi, che si infrangono lì sotto per poi bagnare, poco oltre, i Pigeon Rocks: gli iconici faraglioni della capitale libanese. Lungo il waterfront, i tavolini all'aperto e gli esclusivi beach club offrono tramonti struggenti vista faro (il Manara Lighthouse).

La residenza sorge nel quartiere Ras Beirut – letteralmente "il capo", propaggine nord della penisola su cui si estende il centro urbano – ed è di proprietà di una coppia di imprenditori dell'abbigliamento con tre bambini. Gli ottocentocinquanta metri quadrati su tre livelli svettano al quindicesimo piano della Carlton Tower, prestigioso complesso nato sulle rovine dell'omonimo hotel, rara oasi di pace durante gli anni della guerra civile (1975 – 1990), nonché ritrovo di intellettuali, artisti e politici. «L'edificio fa parte di quel programma di ricostruzione spregiudicato (e a tratti francamente discutibile), con cui – a partire dal 1992 – si è cancellato gran parte del patrimonio storico per promuovere una moderna city di stampo occidentale», spiega l'architetto Claude Missir, autore di apprezzati progetti sia in Europa sia in Medioriente e al quale è stato affidato in toto il restyling della penthouse. «I committenti desideravano una dimora lussuosa, di gusto squisitamente francese, funzionale e al contempo elegante», svela con discrezione. L'obiettivo è stato centrato con l'occhio infallibile e attraverso il tocco leggero di Missir, che – come spesso accade in questa zona di mondo – porta nel lavoro la sua pertinente biografia. Figlio di madre libanese e padre nato in Francia, si è formato in interior design all'Accademia di Belle Arti e negli anni Novanta ha aperto lo studio, forte oggi di una trentina di collaboratori. «Papà era un impresario edile e fin da bambino lo seguivo nei cantieri. Quest'esperienza ha influenzato il mio approccio, più pragmatico che teorico: quando prendo in mano la matita immagino sempre il disegno finale, dall'impianto complessivo fino ai particolari sartoriali». Anche l'amore per l'arte, tratto costante negli interventi, deriva dal genitore, a sua volta grande appassionato. «Un modo per evadere dalla realtà angosciante dei conflitti bellici, evocando la bellezza».

La tensione estetica si articola qui in una gamma di toni neutri, interrotta sapientemente da inserti golden, bronzo e azzurro acqua, a richiamare i riflessi del sole e il blu del Mediterraneo. Il mare è un ospite benvoluto, con accessori che ne interpretano il dinamismo fluttuante e l'energia cromatica: la scultura su piedistallo di Johan Creten e lo specchio in alluminio anodizzato nel living, le sedute danesi e i vasi Pinnacoli in vetro di Murano, di Luciano Gaspari, nella dining room. «Per i pavimenti e le pareti ho scelto invece i colori della terra e della sabbia, mentre lo sfavillio dei metalli richiama in modo esplicito la tradizione decorativa mediorientale». L'elemento che più forgia gli spazi resta comunque la luminosità. «In questa location sono stato davvero "viziato". La luce invade ogni ambiente e lo rende vivo, plasmando i volumi in un gioco di chiaroscuri», rivela Missir, che ha voluto ideare molti degli arredi, in uno stile all'insegna dei materiali naturali e delle finiture a mano, opera di piccoli artigiani. «Mi affascina la potenziale casualità del risultato di un manufatto, l'imprevedibilità che porta di volta in volta a un risultato diverso.Un blocco di marmo non sarà mai identico a un altro». È il valore dell'unicità, espresso pure nei mobili da lui firmati: i sinuosi divani e, all'opposto, il geometrico tavolo da pranzo, quindi il tappeto della sala principale commissionato alla galleria parigina Diurne.

In un approccio bespoke sostenuto dalla collaborazione con maestranze fidate. I riferimenti formali sono ai grandi nomi del minimalismo, Tadao Ando e John Pawson in primis, maestri di pura essenzialità. Missir tuttavia arricchisce il décor di una calda matericità (molti i pezzi di Hervé Van der Straeten) e di complementi capaci di suscitare stupore, stemperando la severità attraverso un gioioso senso di accoglienza. Compone un insieme sobrio e procede per sottrazione inseguendo la linearità, lascia le pareti bianche e vuote. Infine, introduce sofisticati colpi di teatro. È il caso di Calligraphie III, del designer franco-algerino Taher Chemirik: un paravento che, estrapolato dalla sua funzione originaria, diventa un carismatico artwork e trasforma la parete candida in una quinta scenografica. Danno ugualmente spettacolo l'installazione Necklace di Jean-Michel Othoniel, che ingioiella un corner, e il sontuoso lampadario di Lindsey Adelman. In una visione radiosa dell'abitare, densa di futuro.

Un appartamento a Beirut
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Nell'angolo conversazione intorno al camino, i sofà C sono stati disegnati per la Galleria Nilufar di Milano da Claude Missir, come i tavolini gemelli al centro, con top in vetro ornato da foglie d'oro. A parete, specchio scultoreo Voltige e coppia di applique Volubile, di Hervé Van der Straeten. Il tappeto è di Marcel Zelmanovitch.

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Tavolo bespoke, di Claude Missir, e sedute Beetle, di Gubi; lampadario Cherry Bomb Fringe, di Lindsey Adelman; sul fondo, a sinistra, vasi Pinnacoli, di Luciano Gaspari per Salviati; a destra, riflesso, specchio Yoko, di Hervé Van der Straeten. In primo piano, scultura Odore di Femmina – New York Beauty 2, di Johan Creten.

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Divano su misura, di Claude Missir, in velluto di seta Dedar; tavolini Mursi, di Piergil Fourquié; tappeto su disegno, di Claude Missir, realizzato a Parigi da Galerie Diurne. Serigrafie a muro, di Josef Albers (1888 − 1976); in primo piano, a sinistra, l'installazione/scultura Necklace è del francese Jean-Michel Othoniel.

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Cucina di Poggenpohl con sedie CH20, di Hans J. Wegner per Carl Hansen & Søn.

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Le scale con parete in marmo Fume Emperador.

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Coffee table Shift, Hervé Van der Straeten; paravento Calligraphie III, di Taher Chemirik.

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Nell'ingresso, il gioco delle delle geometrie è amplificato dalla parete a specchio. Consolle in bronzo Colonne, concepita da Eric Schmitt nel 2013; il piano fa da supporto a un vaso nero in porcellana, di Rosenthal. Il disegno a pavimento è frutto dell'incontro tra marmo Pierre de Tavel, Nero Marquina, travertino.

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Nella camera padronale, panca di Claude Missir; divanetto Nouvelle Vague, di India Mahdavi; tavolino Cesar, di Rodolfo Dordoni, Minotti.

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Tavolo in legno wengé e foglie d'oro, di Claude Missir, completato dalle sedie Platner, di Knoll.

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