Nel suo saggio On Prospero's Isle, Pico Iyer, giornalista e scrittore inglese d'origine indiana, ricorda: «Ogni mattina sedevo sulla veranda, a due minuti di cammino dalla spiaggia delle mie fantasie, a un'ora di macchina dai vulcani attivi… Tutt'intorno c'erano danze e celebrazioni avvolte nella seta. Bali ti libera dai problemi». Tali nostalgie mai tramontate – riprese in seguito nel film Mangia prega ama (2010), con Julia Roberts – su quest'isola hanno radici antiche. Mescolano le superstizioni animiste e il culto degli antenati con la religione hindu (professata dal 90 per cento della popolazione) e danno vita a cerimonie pacificanti, che scandiscono i ritmi languidi della routine. A fare da eco alle liturgie ufficiali è il pittoresco refrain delle offerte quotidiane – simbolo del credo che permea l'esistenza – davanti agli altarini in bella vista nei cortili delle case, lungo le vie, accanto ai mercati, perfino negli hotel. Destinati ai parenti defunti e alle divinità, gli oboli profumano d'incenso, di fiori rosso acceso e di frutta appena raccolta.
Distanti dalle località mondane della costa ma protagoniste assolute nell'entroterra, le gemme di un'altra Bali risplendono fra i paesaggi smeraldini del distretto di Ubud. Mecca di tanti artisti occidentali incuriositi dal batik e dalla pittura naïf, negli anni Sessanta e Settanta erano in grande spolvero e oggi sono la meta glam di un turismo colto, assai raffinato. Sotto i cieli madreperlacei gonfi di pioggia o le luminose volte celesti della stagione secca, molti cercano una palingenesi nei ritiri yoga, sulle colline modellate dal vento e nei resort votati al wellness, circondati da una vegetazione voluttuosa. «Qui viene voglia di spegnere lo smartphone e far perdere le proprie tracce», assicura Nancy Kim, health consultant del COMO Shambhala Estate, oasi dal lusso sussurrato, famosa per i programmi di remise-en-forme nell'incanto di una foresta emersa dalla gola di un canyon. La giornata ideale? Meditazione all'alba, trekking guidati; poi, pilates, qi gong e trattamenti ayurvedici. Un vero must sono i rituali di benedizione nelle sorgenti sacre che sgorgano dal fiume Ayung: «Capita anche di coinvolgere i guaritori locali, in grado di introdurre gli ospiti ai dettami di pratiche ancestrali, basate sul ripristino dell'equilibrio energetico», puntualizza Sally Halstead, Spa manager inglese ormai con residenza in Indonesia.
Qui, inoltre, il binomio fede/natura ha richiamato diversi creativi, che in questa terra dal verde "patinato", otto gradi a sud dell'equatore, scelgono una sorta di downshifting tropicale. Testimonial del trend sono Marcello Massoni e Michela Foppiani, di Gaya Ceramic, brand di preziosi manufatti d'arredo per il quale lavorano un centinaio di persone, tutte balinesi. «Oltre a fabbrica e showroom, l'attività contempla pure laboratori tenuti da artisti famosi; l'ultimo è stato quello del giapponese Shozo Michikawa», rivela la coppia. Sempre a Ubud, l'interior designer Maximilian Jencquel ha dato personalità a un locale molto cool. Si tratta dell'Uma Cucina nell'hotel omonimo: «Come accade spesso a queste latitudini, dove cultura autoctona e suggestioni internazionali si fondono, ai tavoli del ristorante l'Italia sposa l'Asia e il mar Mediterraneo incontra l'Oceano Indiano», dichiara.
A Bali scorre un'energia corroborante, nutrita da una spiritualità che diventa filosofia di vita, all'insegna dell'armonia con il prossimo, il rispetto per il divino e madre natura. Una dimensione onirica nel luogo in cui l'erba sussurra soavi parole che l'uomo sa ascoltare, creando condizioni ottimali per vivere e lavorare. La magia si propaga nelle risaie di Jatiluwih: patrimonio dell'Unesco, 6.700 ettari di campi pettinati dal vento, incastonati tra rivoli d'acqua e sentieri bordati da palme.
Cesellato dalla sapiente mano dei contadini, questo paesaggio fa da preludio ad altre meraviglie; una su tutte è il santuario di Besakih. Eretto nel secolo XI all'ombra dei 3.142 metri del Monte Agung, è un dedalo di edifici e torri su sei terrazze − simbolo dei diversi livelli dell'universo − all'interno del quale smarrirsi fasciati nei sarong distribuiti all'ingresso. Sulla sommità svetta il tempio principale dedicato a Shiva, il dio supremo. Da qui lo sguardo spazia fin quasi al mare, meta di irrinunciabili selfie all'ora del tramonto e di nuove scoperte, come il Tanah Lot. Architettura sacra in cima a un maestoso promontorio, troneggia sul litorale occidentale nei pressi delle località turistiche di Kuta e Seminyak. Per interludi più esclusivi c'è invece la vicina Canggu, villaggio bohémien frequentato da giovani australiani, che l'hanno fatto diventare un paradiso dei surfisti. Su spiagge idilliache si alternano taverne di cucina bio, inaspettati concept store e gli immancabili altari induisti. L'approdo esemplare per chi cerca atmosfere che instillano la joie de vivre, nell'abbraccio dell'oceano e di prati imperlati della rugiada del mattino, capaci di sublimare la poesia di una destinazione inebriante.