Nella foto, la galleria d'ingresso a Villa Mabrouka incorniciata da piante di Kentia. Pavimento in marmo damier; i muri sono rivestiti da un traliccio di legno verde chiaro.



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Luca Taroni
La cover del libro Inside Tangier, Houses&Gardens, con le fotografie di Guido Taroni, coautore Nicolò Castellini Baldissera, Vendome Press.




In un fitto dialogo tra elementi modernisti e tradizionali marocchini, la natura trionfa incontrastata




Meno di due ore. È quanto dura la navigazione dalla spagnola Tarifa a Tangeri, la città più cosmopolita del Marocco. La magia geografica (ovvero il posizionamento strategico tra Europa e Africa), unita allo status di Zona Internazionale (in vigore fino al 1956), l'avevano trasformata in un crocevia globale di approdi e ritorni. Lungo i suoi vicoli bianchi hanno passeggiato Jack Kerouac, l'ereditiera Barbara Hutton, Truman Capote e Paul Bowles, autore del libro Il tè nel deserto.

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Guido Taroni
Nel cuore del giardino, il padiglione ottagonale con struttura in ferro dipinta a trompe-l’œil dall’artista inglese Lawrence Mynott, che l’ha decorato con edera e piante tropicali. I mobili in vimini erano stati acquistati da Pierre Bergé a Parigi e i cuscini rivestiti con stoffe di William Morris.

Sull'onda nostalgica di quei tempi, nel 1998 Yves Saint Laurent e Pierre Bergé acquistarono la tenuta sulla scogliera protagonista di queste pagine: Villa Mabrouka ("fortuna"), immortalata da Guido Taroni nel libro Inside Tangier, Houses&Gardens (Vendome Press; coautore Nicolò Castellini Baldissera). «Dai vicoli colorati della Medina abbiamo raggiunto la Vieille Montagne, dove si trovano alcune tra le residenze più prestigiose illustrate nel nostro volume», rivela il fotografo. Affascinante e autentica, Tangeri risplende di riverberi. È infatti la luce ad accompagnarci nel mosaico di spazi domestici. Vedute incantevoli, talmente potenti da catturare i sensi attraverso grandi finestre a tutta altezza, che inquadrano millimetricamente il paesaggio in un continuo dialogo indoor/outdoor.

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Guido Taroni
L’ampio ingresso quadrato di Villa Mabrouka presenta un soffitto a cupola, illuminato da una lanterna XL in ferro dorato, acquistata alla galleria antiquaria Galerie Tindouf di Marrakech. Il busto in marmo, invece, proviene dalla casa parigina di Bergé.

Il revamping stilistico (l'architettura originaria era degli anni Sessanta) fu affidato all'amico/collaboratore Jacques Grange, che a differenza delle precedenti proprietà della celebre coppia – da quella opulenta in Normandia agli eclettici Jardin Majorelle di Marrakech – qui diede vita a un mix leggero, perfettamente riuscito di elementi modernisti e stile tradizionale maghrebino. «In ognuna delle sue dimore Saint Laurent immaginava una storia o un personaggio; nella fattispecie, mi chiese di progettarla pensando a un'ipotetica, eccentrica signora inglese degli anni Cinquanta. Con un colore diverso in ogni stanza», ha rivelato l'interior.

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Guido Taroni
La camera di Yves Saint Laurent, con i mobili progettati da Jacques Grange, sfoggia un lampadario francese del XIX secolo di perline turchesi e una coppia di sfingi dorate, sulla mensola del camino, un tempo appartenute al fotografo Cecil Beaton. Biancheria da La Maison de Blanc, Casablanca.

La pluralità cromatica è giocata su pavimenti in marmo damier, archi merlati nella tonalità panna e pareti imbiancate a calce: la "tela" neutra sulla quale si stagliano i pochi arredi. Sono quelli nella suite di Yves, disegnati da Grange, nella sala da pranzo "foderata" di stuoie in bambù o nei salottini: divani vestiti di chintz a motivi naturali. Circonda il complesso un giardino (tra i più estesi del posto) firmato dal paesaggista statunitense Madison Cox. «L'ho ideato con fioriture tardive, per i mesi caldi; nelle altre stagioni Yves veniva raramente a Villa Mabrouka», racconta. Ecco allora le fontane e le terrazze abbracciate da limoni italiani, rose, siepi di Bougainvillea, ortensie. E una cornice di piante di Kentia, che scandisce il percorso d'ingresso: accogliente preludio green al rifugio incantato.

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Guido Taroni
Il padiglione della piscina è stato ideato e affrescato negli anni Novanta dall’architetto e decoratore americano Stuart Church (che poi tornò qui nel 2000, su richiesta di Saint Laurent e Bergé, per restaurarlo). È in stucco rosa, con le finestre che si affacciano sullo stretto di Gibilterra.