Adora scrivere sotto un fico, lì, nel suo paradiso trovato: Rohuna, piccolo villaggio sulla costa Atlantica di quello che un tempo fu il Marocco spagnolo. Umberto Pasti approda il 7 marzo sugli scaffali con il suo ultimo libro, Perduto in Paradiso (da Bompiani, pp. 283, euro 18.00) che, come già in passato, è un racconto autobiografico nutrito dalle sue grandi storie d’amore: il Paese che lo ha adottato e dove vive (ha una casa anche a Tangeri), il giardinaggio e l’oasi verde creata appunto a Rohuna, da lui definito “… luogo arcaico e solenne, dove scambi i cani per unicorni”.

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Il racconto parte proprio dall’innamoramento per un posto, un territorio, un’atmosfera. Vent’anni fa, Umberto decise che lì avrebbe edificato una casa e creato un giardino; così è stato. Ci è riuscito con passione unita all’ostinazione; nonostante le pietre roventi, la mancanza di acqua, le difficoltà burocratiche, la violenza che sempre soggiace in contesti rurali e periferici, gli spiritelli volubili della tradizione tribale. Fatica, piste scavate a mano, trasporto di terra a bordo di mulo… Dopo avere profuso tante energie per raggiungere lo scopo, l’autore ha vinto e oggi può dire “Questo giardino sono io”.

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La narrazione fluisce tra ricordi personali, emozioni, amicizie con i tanti ragazzi coinvolti nei lavori (un impegno salvifico, per molti di loro), rapporti interpersonali intensissimi e non sempre semplici, in un balletto di personaggi forti; tra dettagli legati al giardinaggio, al piantare, vangare, osservare le infinite - talvolta sorprendenti - possibilità della terra. Pasti, che alla sua attività di scrittore e giornalista affianca ormai pure quella di disegnatore di giardini, ci porge tutto questo nelle sue pagine, con dovizia di particolari. Eppure non concede nulla al tecnicismo, perché “questo giardino sono io”: non è lavoro, è vita. Scenario naturale e scenario umano sono indissolubili.

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L’esperienza a Rohuna è qualcosa di molto più profondo della creazione di un appezzamento coltivato a fiori e frutteto, ornato da una moltitudine di specie vegetali, colori, profumi, forme. Umberto è andato oltre, seminando affetti e progetti. Ha salvato gli iris filifolia (di quel meraviglioso viola che tende al rubino, un colore che lo incanta) da radure destinate a diventare parcheggi e autostrade; ha lottato contro il turismo becero e irrispettoso e contro l’arroganza della modernità, quando non tutela genti e territori dal disastro; ha sottratto bulbi dalla discarica di Tangeri. Infine, ha avviato una scuola, informale, all’aperto, sotto le ombre delle chiome frondose dei suoi alberi.

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