In una società guidata dalla competizione, se proprio desideriamo sfidarci facciamolo per migliorare noi stessi

L'etimologia riserva spesso delle sorprese illuminanti. Sintonizzandosi sulle origini latine del verbo competere si scopre, ad esempio, che il suo reale significato è "andare insieme, convergere, incontrarsi", al fine di migliorare la qualità di quanto si persegue, condividendone i benefici. Niente a che vedere con la dimostrazione di superiorità – tanto in voga negli ambiti social, sportivo e professionale – tesa a scavalcare o schiacciare il rivale.

Ed ecco che la competizione si avvicina virtuosamente al concetto di competenza, che non vuole dire fare meglio degli altri, bensì dare il meglio di sé per il bene comune, mettendo in campo tutte le risorse a propria disposizione. Insomma, se ci deve essere una sfida, è auspicabile che avvenga con se stessi, ma nel senso interiore (e non agonistico) del termine, nella consapevolezza che – a prescindere dal risultato finale – l'obiettivo consiste nell'evoluzione personale.

La motivazione, nella fattispecie, trova la sua forza propulsiva nella passione, nell'attrazione (umana) per la difficoltà della prova. E porta a essere concentrati nel perseguimento dello scopo con un'eccitazione esente da ansia o paura del fallimento. Ogni giorno ci offre la meravigliosa opportunità di migliorarci e – come sostiene lo scrittore Sergio Bambarén – superare i nostri limiti spingendoci verso luoghi (anche metaforici) in cui mai avremmo immaginato di arrivare. L'importante è poter contare su una bussola interna orientata su solidi valori e sull'esigenza di accettarsi, rispettarsi, amarsi incondizionatamente.