In apertura, a sinistra, Bleached Waves (2018, Hunger TV, Birdseye, model Joanna). Al centro, Ewan McGregor in un'immagine del 2003 pubblicata su Arena Magazine. A destra, Stranded (1999, Diesel Style Lab, model Laura Kay).
Seducenti, divertiti, curiosi, diffidenti, impauriti. Gli occhi si rivelano i poli d’attrazione di ogni inquadratura
La fotografia perfetta secondo John Rankin Waddel? Quella lontana dai canoni estetici imperanti. «Perché uno scatto memorabile non si adegua agli ideali di bellezza convenzionali, ma punta a qualcosa di più profondo. Riuscire a catturare l'autentico sé di qualcuno rappresenta il vero successo di un'immagine», afferma il grande fotografo nato a Glasgow. Classe 1966, ha alle spalle trent'anni di scintillante carriera costellata di iconici servizi fashion e ritratti con cui ha immortalato tutto l'universo che conta.
Per lui hanno posato Elisabetta II (sorridente), i Rolling Stones (felici come bambini), Kate Moss (in un abbraccio di piume), senza dimenticare The Queen, David Bowie, Kendall Jenner. Molte opere fanno ormai parte del patrimonio collettivo, pubblicate sulle principali riviste patinate ed esposte nelle gallerie d'arte più prestigiose.
Il suo è un curriculum extralarge, che include anche la regia e l'editoria con magazine "in proprio". Apripista: Dazed & Confused, lanciato nel 1991 assieme all'amico Jefferson Hack, ex fidanzato di Kate Moss, nonché padre di Lila Grace Moss Hack, ora diciassettenne (è nata nel 2002). «Quel mensile divenne presto sinonimo di rinnovamento culturale», ricorda. Adesso, a far luce sul suo talento sfaccettato è in corso l'esposizione Rankin: From Portraiture To Fashion, alla galleria 29 Arts In Progress di Milano. Articolata in tre appuntamenti (fino al 24 febbraio 2020) è a tutti gli effetti un concept in evoluzione: «Portrait, moda e ricerca concettuale. Il progetto esplora i tre temi principali in altrettanti allestimenti distinti, apparsi fin da subito come la modalità ideale per parlare allo spettatore», chiarisce il curatore Eugenio Calini, direttore dello spazio assieme a Luca Casulli. Ogni singola inquadratura provoca, incanta, cattura emozioni e stabilisce una connessione forte attraverso lo sguardo: centro di gravità di ogni produzione.
«Di fatto, non esiste uno "stile Rankin". Io cerco solo l'onestà, giocando sull'alternanza "mi nascondo/mi lascio guardare"», rivela. Eppure, una sorta di firma ce l'ha, sostiene lo scrittore William Boyd: «La sua abilità consiste nel tirare fuori qualcosa di originale anche dai volti più familiari».