«L'arte è misteriosa, tocca l'invisibile, l'indicibile», ha detto l'artista polacco. Nella foto, l'opera Shoah (Translator), realizzata da Sasnal nel 2003.



Volti dai contorni sfumati come emblema del genere umano: tra vividi ricordi, un presente incerto e fiduciose speranze

Se la memoria si potesse trasformare in qualcosa di tangibile sarebbe senz'altro una tela di Wilhelm Sasnal. E se questo si potesse cristallizzare in un'unica tonalità, sarebbe sicuramente il verde. Un colore dalla forte simbologia, che il pittore associa alla natura ma anche all'anima, al mondo che ci circonda e alla speranza.

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Courtesy Anton Kern Gallery
Shoah (Forest), 2003. Immagini raccolte anche nel nuovo libro Wilhelm Sasnal, Rizzoli New York.

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Courtesy Anton Kern Gallery
Untitled, 2009.

L'artista quarantasettenne trasforma la sua personalissima visione della realtà in quadri dalle pennellate dense e corpose. Parte da dettagli ordinari − come il volo di un aereo che si perde tra le nuvole, una mucca che pascola in un campo, una donna che beve alla fontana − e inizia il suo viaggio, spesso inatteso, mutevole e imprevedibile. Gli artwork, infatti, nascono figurativi per poi virare nell'astrazione più pura. «Dipingere è un po' come quando scivoli giù da una montagna con lo snowboard; non sai mai che cosa succederà lungo la strada», spiega. In questa discesa ripida, il verde gioca un ruolo primario, assumendo sfumature infinite. Un prato immenso, una foresta, l'acqua di un lago diventano territori della coscienza collettiva, la vita di tutti i giorni, poesia.

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Courtesy Anton Kern Gallery
L’opera Untitled, 2019.
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Marek Gardulski
Il ritratto dell’artista e film-maker polacco
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Courtesy Anton Kern Gallery
Untitled Cow, 2012.

Originario di Tarnów, città di centomila anime nel sud della Polonia, faccia stropicciata da cantante rock, Wilhelm ha iniziato a disegnare quando era studente di un istituto professionale. Si divertiva a ricalcare le copertine dei dischi heavy metal. E nel frattempo imparava: «Scoprii la band dei Bauhaus e solo allora appresi cosa fosse nell'arte. Lessi un libro sul Cubismo, non ci capii nulla, ma arrivai in fondo», ricorda. Poi si è iscritto alla facoltà di Architettura e infine all'Accademia di Belle Arti, mai troppo amata.

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Courtesy Anton Kern Gallery
In Untitled, del 2011, la figura candida di una madre si staglia nello sfondo; il focus è tutto sull’amore incondizionato per il figlio appena nato.

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Courtesy photo
Il colore verde domina la produzione: qui, Capitol, 2009, dove la Casa Bianca risulta immersa nella natura.

Nessuna coordinata spaziotemporale e pochissimi dettagli. A imporsi è l’energia prodotta dalle pennellate vorticose

Oggi Sasnal vive e lavora a Cracovia, crocevia della creatività polacca, e di recente è stato uno dei protagonisti della collettiva Crossing Views, alla Fondation Louis Vuitton di Parigi. «La pittura è un mezzo per esprimere ciò che non si può dire a parole. È materia misteriosa, tocca l'indicibile. Non mi piace l'arte che fa il verso alla pubblicità, amo però le emozioni e i segreti che contiene». Tra questi ultimi ci sono i volti, che il pittore volutamente cela: non ha realizzato un solo quadro in cui i lineamenti del soggetto siano definiti. Tutto è scientemente occultato.

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Courtesy Anton Kern Gallery
Basel, 2017.
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Courtesy Anton Kern Gallery
Stork, 2014.




Per lui si tratta di un atto di generosità verso lo spettatore, al quale offre la possibilità di immaginare in quei contorni un parente, un amico, un amore. «Nascondo perché ambisco a creare un modello universale. Su quel viso che non c'è voglio dipingere tutti gli sguardi e trasformare il mio lavoro in un archetipo della memoria collettiva». Quasi un compendio del genere umano, capace di raccontare chi eravamo e chi verrà dopo di noi.