Un paesaggio di campagna notturno, in cui le fioche luci domestiche visibili dalle finestre sembrano soccombere alla maestosità del cielo: un mantello blu cobalto trapunto di stelle simili a gorghi vorticosi. Considerato oggi l'opus magnum del pittore olandese Vincent van Gogh, il dipinto Notte stellata (1889) venne accolto subito come un inqualificabile flop, destinato a essere riabilitato fuori tempo massimo (il suo autore si suicidò un anno dopo, sconosciuto e senza un soldo).

In epoche successive, nella lista dei "capolavori ex post" si stagliano Poirot a Styles Court (1920), fallimentare esordio della regina del giallo Agatha Christie; l'inizialmente bistrattato Aguirre, furore di Dio (1972), del regista tedesco Werner Herzog; Pornography (1982), quarto album in studio dell'iconica band The Cure, stroncato dalla rivista Rolling Stone come «l'equivalente uditivo di un tremendo mal di denti».

Legittimo chiedersi quale sia il denominatore comune di molte débâcle spesso redente. La risposta risiede nell'inarginabile ambizione dei loro creatori, sostenuta dal desiderio di sperimentare oltrepassando i confini del già noto. Un volo destinato a tradursi in un tonfo qualora il momento non sia pronto a cogliere la peculiare bellezza della singolarità. Eppure, proprio in quest'era così banalmente consacrata all'omologazione diventa necessario, anzi doveroso uscire dalla nostra comfort zone, assumerci dei rischi ed esplorare nuovi orizzonti. Perché, come sosteneva lo scrittore Herman Melville, «È meglio fallire nell'originalità che avere successo nell'imitazione».