Nel mondo anglosassone il materialismo imperante viene studiato alla stregua di una malattia insidiosa. Denominato stuffitis (da stuff, "roba"), il virus silente dell'acquisizione bulimica è capace di renderci rapidamente più poveri (non solo dal punto di vista finanziario), ansiosi e depressi.

Le scroscianti sollecitazioni all'acquisto che piovono dai nostri smartphone – diventati il surrogato della vita vera – creano infatti un link indissolubile tra la sensazione di adeguatezza e l'ottenimento dell'ultimo modello di qualsiasi status symbol, recapitato ormai in tempo quasi reale e con la semplicità di un clic. Velocità e immediatezza coalizzate, per irretire la capricciosa impulsività del desiderio istantaneo. E mentre negli anni Sessanta il parametro di confronto era orizzontale, ossia coincideva con gli amici o il vicino di casa, oggi l'esplosione dei social media ha prodotto un'espansione verticale del gruppo di riferimento, che punta dritta a Kim Kardashian e Gigi Hadid. Insomma, amiamo incondizionatamente gli oggetti più aspirazionali e usiamo all'occorrenza le persone, pur di raggiungere i nostri obiettivi. Joshua Fields Millburn & Ryan Nicodemus, meglio conosciuti come The Minimalists, reduci dal successo del loro nuovo film Less Is Now (su Netflix) hanno appena pubblicato un libro dal titolo eloquente: Love People, Use Things – Because The Opposite Never Works.

Un invito a riabilitare i valori autentici (senza scambiarli con il plafond della carta di credito), per soddisfare il nostro bisogno imprescindibile di senso, appartenenza, crescita, intimità.