Curioso, intrigante, spesso provocatorio, rappresenta la tecnica perfetta per raccontare ossimori e idiosincrasie del nostro secolo. Questo è l'assunto − in epoca di fake news e Photoshop − di un grande successo editoriale: The Age of Collage, terzo volume di una fortunata serie lanciata nel 2013 e pubblicata dalla casa editrice Gestalten (pp. 320, €39,90).

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The Age of Collage 3, Gestalten 2020
La cover del volume The Age of Collage con l'opera Untitled #23 (2016), della polacca Weronika Gesicka: fa parte della collezione Traces e punta sull’ambiguità della percezione. Nel mirino lo stereotipo della famiglia felice.


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The Age of Collage 3, Gestalten 2020
Del tedesco Jens Wortmann, noto per sovvertire i canoni della bellezza, Untitled (2018) è un’interpretazione del corpo femminile di ispirazione cubista.

Untitled #23 è invece un artwork della polacca Weronika Gesicka, che ama alterare la realtà stigmatizzando il mito della felicità tipico dell'America anni Cinquanta e Sessanta, in pieno boom economico.

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The Age of Collage 3, Gestalten 2020
Disorder (2018), di Matthieu Bourel, sembra scavare nei meandri della mente. Inquietante e surreale, l’opera dell’artista francese riflette sulle crisi di identità dell’essere umano.

Da Matthieu Bourel a Weronika Gesicka, passando per Jens Wortmann: le opere più glam di un genere di gran moda

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The Age of Collage 3, Gestalten 2020
Crystal/Eve (2019), del francese Matthieu Bourel, scompone in mille pezzi un viso dalla bellezza eterea, quasi a voler distruggere il mito della giovinezza e della perfezione.

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The Age of Collage 3, Gestalten 2020
Poster, ritagli di giornale, foto e segni di vernice spray. Con Frida (2020) il canadese Peter Horvath ci invita a riflettere sulla massificazione della cultura.

Il collage si rivela un mezzo espressivo affascinante, che ha sedotto artisti del calibro di Pablo Picasso, Georges Braque e Max Ernst (quest'ultimo lo considerava «il passe-partout per l'inconscio, uno strumento destinato a rivelare i più intimi desideri dell'uomo»). In tempi più recenti è stato invece sfruttato per esprimere dissenso e alienazione, in particolare da Larry Achiampong, Adam Pendleton, Jesse Draxier e Amie Dicke, diventando un atto di resistenza alla digitalizzazione dell'immagine e agli stimoli visivi dei social media. Attraverso i suoi sbalorditivi mille volti.