Virtù a rischio di estinzione, la modestia non è una forma di debolezza. Al contrario, è sinonimo di successo conseguito con dedizione e lavoro di squadra.

Chi, come me, è cresciuto nell'era pre-Instagram condivide di solito la stessa formazione, riassunta in questa riflessione di Natalia Ginzburg tratta dal racconto Le piccole virtù (1960): «Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l’amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere». Un'altra virtù dichiaratamente vintage (se non addirittura a rischio di estinzione) è la modestia, così definita dal vocabolario Treccani: «Qualità morale, opposta alla vanità e alla presunzione, consistente nel non sentire e non mostrare vanto dei meriti personali».

Non stupisce che da bambina i complimenti mi venissero somministrati con il contagocce, poiché considerati il fertilizzante della superbia. Premendo il tasto fast forward, mi chiedo se l’umiltà abbia ancora un senso in quest'epoca in cui la vita collettiva appare spesso come una scintillante, boriosa autopromozione sui social media. Forse sì, ma in un'accezione più contemporanea, ossia nell'essere preparati a fare il proprio dovere senza aspettarsi un riconoscimento ed evitando di prendersi troppo sul serio. In questo modo, l'eventuale successo non viene più percepito come un fulgido assolo, bensì il risultato corale di un appassionato lavoro di squadra. Avete presente.