Negli Igloo di Mario Merz ognuno trova quel che cerca. Sono icone di rifugio, di una casa primordiale e provvisoria, che delimita lo spazio, ripara e protegge. Ma anche il clic di personalissime interpretazioni. Lo racconta molto bene la mostra Igloos, appena inaugurata all’HangarBicocca di Milano. Curata da Vicente Todolí e realizzata in collaborazione con la Fondazione Merz, si espande negli spazi XL delle Navate e del Cubo, con una costellazione di oltre trenta opere che l’artista ha firmato dal 1968 al 2003, l’anno della sua scomparsa.

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Italo Cervi
Mario Merz, Architettura fondata dal tempo, architettura sfondata dal tempo, 1981.

La folla di igloo, delicati, precari e insieme solidi e maestosi, compone un paesaggio inedito, una città nella città, un villaggio ideale da attraversare passeggiando lentamente per immergersi in un gioco di riconoscimenti. Durante la sua carriera Merz li ha chiamati capanna, cupola, tenda, ma anche ventre, cranio, terra. Perché gli igloo formano un immaginario collettivo, un insieme di archetipi dei luoghi abitati e del mondo, metafora delle relazioni tra interno ed esterno, tra spazio fisico e spazio concettuale, tra individualità e collettività. Ciascuno include gli elementi della realtà naturale e di quella urbana tra cui la luce, l’acqua, la terra, il legno e le pietre trasformati in visioni oniriche. L’unica costante è la struttura metallica che li sostiene, per il resto mai un pezzo è uguale all’altro. La forma classica, di cellula semisferica, è declinata spaziando tra i materiali di uso comune: argilla, pietre, iuta, acciaio, vetro, che interpretano concetti opposti, in totale armonia. Leggero-pesante, chiaro-scuro sono accostati per dar vita a nuove entità.

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Italo Cervi
Mario Merz, Senza Titolo, 1985.

E poi c’è il lettering: parole al neon che, con la scrittura in corsivo dell’autore, evocano significati e aggiungono poesia. Come succede con i numeri di Fibonacci lasciati scorrere dall’1 al 233 nell’igloo in metallo, pietra e vetro Sentiero per qui. O le scritte “chiaro” e “oscuro”, tra un igloo di vetri fissati da morsetti e uno coperto integralmente da fascine. Fino all’opera Senza titolo (doppio igloo di Porto), del 1998, in cui il numero 10946, ancora una volta tratto dalla sequenza di Fibonacci, illumina il fianco di un cervo impagliato che sovrasta, ieratico, la cupola e richiama la natura e tutta la sua potenza.

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ItaloCervi
Mario Merz, Sentiero per qui, 1986.

A cinquant’anni dalla creazione del primo igloo, la mostra riunisce lavori di importanza storica che – a partire dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid alla Tate di Londra e la Nationalgalerie di Berlino – provengono da collezioni private e museali internazionali e sono esposti per la prima volta in Italia. Anche per questo, oltre che per l’esperienza ipnotica che scatta durante la visita, è un’occasione per volare lontano, stando qui.