Le tonalità incandescenti del sole e le nuance argillose del paesaggio rendono con poetico realismo la fascinazione del New Mexico
Villaggi desolati, strade tortuose in mezzo al nulla, teschi e palchi di animali sospesi sullo sfondo di panorami fuori scala, dove la prospettiva è quasi azzerata. Il mondo che Georgia O'Keeffe (1887 − 1986) dipinge negli ultimi decenni della sua esistenza sembra un inno alla solitudine. In maniera criptica − talvolta più gridata − a risultare protagonisti sono l'assenza di vita, i silenzi assordanti nelle terre riarse del New Mexico o la presenza di misteriosi amuleti. Un codice stilistico apparentemente distonico, se paragonato alla ricerca estetica che caratterizza le sue dimore alle porte del deserto.
Che si tratti di Ghost Ranch o della casa di Abiquiu, architetture spartane acquistate rispettivamente nell'estate del 1940 e nel dicembre del 1945, questi spazi sfoggiano pezzi unici, installazioni e icone del design provenienti dall'appartamento newyorkese dell'artista. Uno stile dalla spiccata personalità, documentato con tele e scatti tratti dal volume Georgia O'Keeffe At Home (Quarto Press), racconto per immagini sull'influenza esercitata da molteplici paesaggi e scenari nell'opera omnia della grande pittrice statunitense.
Non più sensuali calle, orchidee o iris dalle suadenti simmetrie − oggetto d'interesse della prima parte della sua carriera − bensì costruzioni in argilla come Taos Pueblo o The House I Live In, olio su tela del 1937 che ha la forza di un'istantanea scattata all'adorato Ghost Ranch, rifugio di cui scriverà: «L'attimo in cui mi sono svegliata qui per la prima volta ho capito che era il posto in cui volevo vivere». Altrettanto cariche di pathos le parole annotate nei suoi diari a corollario di Mesa and Road East II, opera del 1952 sulla strada verso Abiquiu. «Preferisco venire qui che in qualsiasi altro luogo a me noto. È un modo per vivere comodamente ai confini del mondo, così lontano che forse nessuno verrà mai a trovarmi». E in quel "comodamente" sembra racchiuso un personalissimo progetto di interiors. Tra queste quattro mura Georgia O'Keeffe si circonda di autentici capolavori.
Dipinge gli ambienti di bianco e mantiene il patio interno, nel quale monta grandi finestre a incorniciare il panorama, suo soggetto d'elezione. Tutt'intorno, sotto travi in legno e volumi dalle geometrie rigorose, dispone un coffee table di Mies van der Rohe, la poltroncina Butterfly di Knoll, la Womb Chair e le Tulip di Eero Saarinen, le sedute degli Eames e un'ottomana di Henry Bertoia. Non è ancora tutto, perché O'Keeffe completa l'affascinante abitazione con un mobile di Alexander Calder in camera da letto e la scultorea sospensione Akari di Isamu Noguchi sul tavolo della cucina. Sparsi qua e là tessuti Navajo, pietre levigate dalla corrente del fiume Colorado, teschi di antilopi appesi ai muri e ceramiche di artigiani del New Mexico. Il risultato non è una fredda galleria, ma quella che con Maria Chabot − fedele amica occupatasi in sua vece dell'acquisto e della successiva sistemazione della casa di Abiquiu − adorava definire "Gesamtkunstwerk": un'opera d'arte totale, come i suoi quasi novantanove anni. Molti dei quali votati alla pittura.