Cibo salutare, quante favole che ci raccontiamo. Perché ce le fanno credere, principalmente, quindi anche se ci definiamo consumatori consapevoli siamo spesso tratti in inganno dai claim e dalle scritte seducenti. Senza olio di palma, gluten-free, no OGM: mangiamo per sottrazione, angosciati, cibo sano ossessione come per gli ortoressici. Gli slogan che nell’ultimo anno ha avuto maggiore attenzione sono anche quelli che riflettono, all’estremo, una specifica direzione dei consumatori che come spesso dimenticano, restano però dei soggetti indiretti del marketing. E i prodotti salutari, in realtà, non lo sono per niente, stando all’ultimo rapporto dell’USDA, il dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti, analizzato dal Washington Post. C’è poco da fare i sani a tutti i costi: gli alimenti confezionati sono da evitare, in realtà. Stanno sì cambiando le ricette dei prodotti per renderli più sani sulla carta, ma le nuove formule non rispondono davvero alle reali esigenze e richieste dei consumatori. In sostanza (e mai espressione fu più indicata), i prodotti della GDO statunitense hanno meno sale e meno zucchero, ma per mantenere il sapore (e le stesse calorie, a parità di numeri presenti sulle etichette prima e dopo la modifica della ricetta), il posto di questi due ingredienti è stato preso aumentando il terzo nemico: i grassi. I grassi saturi, nello specifico, che vanno a riempire il vuoto lasciato dallo sugar free & low sodium, e intasano progressivamente le vene dei consumatori. I grassi saturi fanno male, sono la principale causa delle malattie cardiovascolari. Cambiando l’ordine degli addendi OPSSSingredienti, il risultato è sempre quello: il cibo confezionato sembra non riuscire a liberarsi dei principali esaltatori di sapore. Tanto zucchero, tanto sale, tanti grassi: le proporzioni scendono e salgono ma la soluzione definitiva per riportare le ricette alla bontà più naturale non si trova. Gli esempi evidenziati nel rapporto USDA riguardano i cereali da colazione, gli innocenti cereali tanto amati dai bambini: se lo zucchero e il sale sono diminuiti lentamente dal 2008 al 2012 grazie a studi e campagne mirate, la proporzione dei grassi saturi dove si trovano è esponenzialmente aumentata, con tutti i rischi che comporta. Michael Moss, giornalista vincitore del Pulitzer che ha scritto un libro proprio sulla sacra triade Salt Sugar Fat, sostiene che questo è un comportamento normalissimo per l’industria alimentare. “Possono gestirne una alla volta, tre diventa difficile” spiega. Secondo Ryan Dolan della PTM Food Consulting, la regola è semplice: “one decreases, others increase”, uno scende e gli altri salgono.

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Ridurre il sodio e lo zucchero significa alzare la quantità di grassi che va a riempire il vuoto lasciato dagli altri due: una ricetta divisa in percentuali che vanno rispettate ad ogni costo per non modificare eccessivamente il sapore dei cibi, pena il ritiro dalla produzione e dal mercato. Il gioco è enorme: non sempre rimpiazzare lo zucchero con la stevia o tagliare il sale corrisponde ad una “tenuta” del prodotto, perché la chimica originaria viene stravolta. Per mantenerlo, si alzano i grassi saturi che fanno da collante e fanno dimenticare il sapore. Stesso motivo per cui i cibi poveri di grassi che hanno fatto tanto successo anni fa (yogurt magro a 0,1% di grassi, per esempio) siano in realtà pieni di zucchero e sale per mantenere inalterato il sapore. Sono le nostre papille gustative a restare fregate in questa lotta, nonostante le campagne promozionali per migliorare il cibo industriale che per molte persone è, ancora oggi, l’unico modo economico di mangiare. La stortura del mercato del cibo è palese: cibi superindustriali che costano poco ma fanno anche malissimo, nonostante la quantità di campagne mirate (aggirate dal marketing). “Alla fine si cambiano solo cattivi ingredienti per altri altrettanto cattivi, e ai consumatori questo modo di lavorare non piace” spiega Pete Maletto di PTM Food Consulting commentando i dati. Che sono davvero poco confortanti. Riformulare una ricetta industriale non è mai facile e ripartire dalla semplicità non è così immediato, perché bisognerebbe pensare al prodotto nel suo complesso e non a giocare al piccolo chimico alimentare sostituendo gli ingredienti uno per volta. Per non sballare i valori nutrizionali del cibo vale la pena conoscere i grassi e i nutrienti di ciò che stiamo mangiando. Leggere bene le etichette è il primo passo.

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