Good dishes gone bad Nelle discoteche romane di fine anni Ottanta, a mezzanotte si consumava un rito. Il proprietario dava l’ordine alla cucina di scolare la penne alla vodka e ai camerieri di distribuirle sui tavoli dei privé e ai paninari ancora in pista. Un’abitudine cafonal considerata però ai tempi una délicatesse piuttosto chic (anche se ci si chiede ancora da chi). Visto che a) le nonne si sarebbero volentieri unite in organizzazioni di protesta contro quella pasta condita con così poco gusto, b) i ristoranti quanto a proposte hardcore, alle penne alla vodka preferivano di gran lunga quelle condite con panna e salmone. Tutti l’hanno mangiata almeno una volta nella vita ma nessuno la cucinerebbe mai. Perché? Perché quel condimento così Eighties è passato da essere quasi snob a 100% tamarro?

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Facendo un passo indietro si scopre che la salsa di pomodoro sfumata con qualche goccia di vodka una paternità ce l’ha: qualcuno la attribuisce al ristorante Dante di Bologna, altri allo chef del ristorante Orsini di New York. La ricetta è piuttosto semplice, basta sfumare la salsa di pomodoro condita con olio, cipolla abbondante e peperoncino, con un filo di vodka praticamente impercettibile al palato. Quindi qual è la causa di tutto questo immotivato accanimento made in Italy? Rinnegare il passato a favore di un presente iper gourmand?

Ma qualcuno non ci sta, anzi, riscopre il primo piatto nato come comfort food post serata dei romani negli anni Ottanta, lo recupera e rinnova il titolo di primo piatto snob appartenutogli per un paio di generazioni. Succede a New York, come riporta Grubstreet.com, dove alcuni ristoranti italo-americani dei quartieri più hipster della città, non propongono menu senza avere tra i primi un bel piatto di penne alla vodka. Costo? 26 dollari. Se non è una rivincita cafonissima questa.

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