Bottiglie ordinatamente esposte, bicchieri tutti in fila per altezza a seconda delle diverse forme, succhi e sciroppi, frutta fresca. Non è il bancone di un bar ma la casa di un mixologist: la sua dimora, il rifugio dopo il servizio. Magari in piccolo rispetto alla vastità del suo piano di appoggio al lavoro, ma è difficile che manchi qualcosa da bere in casa di un barista. Cosa vuole bere un bartender quando decide di staccare completamente la testa dal lavoro è tutto da scoprire e ci hanno provato su Liquor (tendenzialmente cose semplici e ricette di cocktail classici con piccole variazioni). Ma sopratutto, quali sono i cocktail più richiesti da non ordinare mai, proprio per non fare impazzire il mixologist? La risposta viene da Business Insider e le sorprese non mancano. Di cocktail che provocano un rolleyes, che fanno sbuffare dentro mentre fuori si stampa un sorriso di accondiscendenza e “certo arriva subito”, ce ne sono una marea. E sono quelli che tendono a piacere sempre al grande pubblico. (Ci chiediamo: ma un barista stacca mai veramente o soffre della sindrome del vigile urbano, che anche in ferie ha l’istinto di punire un’infrazione al codice della strada?).

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“Un mojito grazie” = vade retro. Ordinare un mojito significa scatenare un’onda suprema di odio che si placherà soltanto dopo aver pestato con violenza il ghiaccio e la menta necessari a prepararlo. Perché è lungo, perché richiede molti ingredienti, perché le mani restano appiccicose di zucchero e lime. Ti rovina la serata.

“Mi fai un Long Island Ice Tea” = ma veramente? Il cocktail più odiato da chiunque. Cinque tipi di superalcolici diversi in proporzioni da piccolo chimico di laboratorio. Precisissime, o diventa un miscuglio orrendo. Complesso, porta via parecchio tempo. E se c’è gente in attesa non è proprio la cosa da ordinare al bar la sera.

“Vorrei un Margarita” = tu hai tempo da perdere. Altro dei cocktail classici con una ricetta complicata, richiede diversi secondi di shaking in grado di rallentare il servizio di un’intera serata. Tra l’altro è uno dei cocktail più dolci e zuccherosi di sempre. Forse è arrivato il momento di crescere e metterlo da parte.

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“Strawberry Daiquiri, e che si senta l’alcol” = tu sì che sai rovinare la tradizione. Il Daiquiri fatto bene è una meraviglia. Perché alterarne l’equilibrio con lo sciroppo di fragola, così agée? Perché non imparate a bere, una buona volta? Se vi piacciono le cose rosa, puntate sul gin rosé e non pensateci più.

“Un Martini agitato, non mescolato” = è arrivato James Bond. Il cocktail più famoso al mondo non è uno dei più semplici. La preparazione è laboriosa e ogni buon bevitore ha le sue fisse: i due ingredienti gin+ vermouth possono essere combinati in versione dry, extra dry, dirty, spruzzati di vodka. E in realtà agitare il Martini come voleva Bond è un errore, perché si altera malamente il vermouth rovinando il cocktail. 007 non ci aveva capito niente.

“Un cocktail a piacere tuo, mi fido” = disastro totale. Un mixologist non fa l’indovino di professione. Non può sapere i gusti dei cento clienti che affollano il bancone nello stesso momento. E non gli state facendo un favore invitandolo a prepararvi un cocktail a sua discrezione, anzi. Lo mandate in crisi se non gli date alcun riferimento su cosa vi piaccia, sul superalcolico di base, se amate lo zenzero o preferite i sapori morbidi. Cosa non ordinare al bar dopo cena? Questo. Nove volte su dieci rimanderete indietro il prezioso bicchiere e pretenderete un orrido rum e cola. Non era meglio essere più diretti?

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