Emblema della pasta all’uovo ripiena. Tanto più piccoli, quanto perfetti. Da chiudere rigorosamente sul mignolino a formare una minuscola ogiva gonfia di carne saporita, la punta della sfoglia gialla di uovo che fa capolino dal brodo come invito succulento. Il tortellino bolognese tradizionale, una delle tre T che goliardicamente raccontano la città di cui sono diventati simbolo, ombelico (del mondo) di Bologna (citofonare Raffaella Carrà). Tortellino che muore nel brodo = tradizione suprema. Ma il guilty pleasure della nuova industrializzazione (e salvezza dell’universitario spiantato) è con la panna. Quei tortellini con la panna sdoganati persino da uno chef geniale come Massimo Bottura, che li prepara proprio con la migliore da affioramento rendendoli un piatto gourmand. Quei tortellini che sono in grado di riportarti ai pranzi della domenica a casa della nonna, e non importa se vieni da Bologna o Modena o Milano o Roma, ci sarà sempre la pasta ripiena in un mare di brodo a profumare le domeniche di infanzia o il Natale più struggente. Brodo di cappone e tortellini la mattina del 25 dicembre, come una promessa e al tempo stesso un sacrificio di certosina pazienza. Ché chiudere i tortellini per Natale è un lavoro a sé da iniziare, solitamente, almeno tre settimane prima delle feste: e non è vero che lo si affida solo alle donne della famiglia o ai bambini, che con le loro baby dita riescono a ottenere miniature dei tortellini. La sfoglina dei tortellini è un lavoro da zdaure, le massaie dagli infiniti segreti, ma sempre più ragazzi iniziano a imparare l’arte primordiale di tirare una sfoglia. E a Bologna fioriscono scuole, organizzazioni, gruppi anarchici di appassionati di cucina che mostrano la voglia e l’orgoglio di salvaguardare la propria storia gastronomica dalle copie non conformi in grado di rovinare la ricetta dei tortellini. Una protezione per il futuro del ripieno e di quella sfoglia all’uovo leggera, quasi trasparente, che si deve vedere San Luca in controluce.

Small amounts of stuffing in a row on a fresh pasta sheet to make tortellinipinterest
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La storia del tortellino annega in un brodo saporito fino al XII secolo, quando sono state ritrovate le primissime tracce scritte delle paste all’uovo ripiene. Come in molti casi di eccellenza parte dall’arte del riciclo degli avanzi necessari al ripieno. Parti poco nobili dei maiali macellati per i signori, che ne mangiavano la carne migliore. I pezzi più duri e meno pregiati, gli scarti rimasti, venivano debitamente cotti e macinati per mascherarne, probabilmente, la provenienza. Anche se inizialmente non si parlava di carne per i tortellini, ma il ripieno era preparato con erbe tipiche dell’Emilia: il primo racconto in dialetto modenese di una ricetta dei tortellini “a pasta zalla” oltrepassò i confini naturali dell’Appennino per approdare fino a Giovanni Boccaccio, che ne scrisse nel suo Decameron. Durante il Rinascimento, con la fioritura della cultura e della potenza della dotta e grassa Bologna, i tortellini iniziano davvero restare fissati su carta: una delle prime ricette tradizionali dei tortellini è quella 1570 stampata probabilmente dal cuoco Bartolomeo Scappi, all’epoca in servizio presso papa Pio V. Altre tracce dal passato emergono da documenti del primo novecento, quando ormai era già iniziata la rivendicazione territoriale e la ricerca di tutela. Aperta parentesi per una diatriba mai risolta: il tortellino è di Bologna o di Modena?

High Angle View Of Tortellini In Trayspinterest
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La risposta la dà Carlo Alberto Borsarini, presidente dell’Associazione che da sette anni organizza la manifestazione TourTlén a Bologna e che prima di tutto è il “cuoco dei tortellini” del Ristorante La Lumira di Castelfranco Emilia, no man’s land tra le due province. “La sfida del tortellino tra Bologna e Modena è perfetta per la stampa, ma sarebbe bello codificare le differenze per far capire cosa cambia tra le due ricette, in pratica quello che ci metti dentro” spiega non senza una punta di divertimento, impegnato a preparare tortellini sotto le volte roboanti di Palazzo Re Enzo per oltre 9mila assaggiatori e appassionati (un totale complessivo di 24 chef che ha preparato 16mila assaggi, vale a dire 1000 kg di tortellini di ogni tipo). Le antiche rivalità tra le due città, separate da 40 km di Via Emilia, si ripropongono seppure ammorbidite dalla comunanza di intenti: proteggere il tortellino dalle frodi e dallo sfruttamento del nome, elevarne il grado di qualità e l’identificazione con quel territorio preciso che può spaziare, senza riserve, su tutto quel rettangolo un po’ abbozzato che abbraccia dall’Appennino Ligure a Goro, da Piacenza a Cattolica.

“Il tortellino è l’oro di Bologna ed è giusto pubblicizzarlo così” sentenzia il cuoco emilianoromagnolo (tutto attaccato, si raccomanda), rifacendosi al disciplinare del tortellino depositato in Camera di Commercio il 7 dicembre 1974 con la ricetta originale dei tortellini: il ripieno deve contenere lombo di maiale, mortadella di Bologna IGP, prosciutto crudo della zona, parmigiano reggiano, uova, noce moscata. E guai a confondersi con il cugino cappelletto, la cui origine è dibattuta in tutta la Romagna e nelle Marche. Tortellini e cappelletti differenze inconciliabili ma semplicemente nel ripieno, che per i cappelletti si frulla e può essere composto da carni varie bovine e suine, non di solo maiale, nonché aree geografiche diverse. E i tortellini creativi, con ripieni fantasiosi preparati dagli chef bolognesi (+ 2 ospiti esterni) che hanno contribuito all'ingorgo godurioso di TourTlén? Entriamo in un altro campo, quello della reinterpretazione libera e della poesia che si invola dalla tradizione rigorosa: come nei tortelli al Parmigiano Reggiano con lavanda, noce moscata e mandorle di Aurora Mazzucchelli del Ristorante Marconi, che sono un abbraccio materno di eleganza e profumi. O la variante di pesce presentata nel tortellino con ripieno di razza e acciuga su bisque di funghi porcini e champignon in brodo di Francesco Carboni dell’Acqua Pazza, che da vero folle ha portato un piatto unicissimo, delizioso e incredibile. O il tortellino ripieno di vitello e mortadella in crema di brodo, parmigiano e funghi porcini di Mario Ferrara di Scaccomatto, ogni boccone di tortellino un morso di bosco profondo. Capacità di reinventare e scardinare che può venire solo dalla conoscenza. E dall'altro lato la tradizione vera, assoluta, una magia di saudade in grado di ritornare come un’onda di brodo caldo nei tortellini di Lucia Antonelli della Taverna del Cacciatore di Castiglione dei Pepoli (BO), la maga di tutte le sfogline, che inchioda i suoi piccoli capolavori in un iperuranio di metodica perfezione.

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Tralasciando le poesie dei sapori, il problema centrale del tortellino certificato rimane. “L’unico modo per preservarne l’identità è circoscrivere gli ingredienti ad una regione specifica, in questo caso l’Emilia Romagna” continua Borsarini, tra i firmatari del progetto minuzioso e attento per rendere il tortellino DOP, denominazione di origine protetta, al quale stanno lavorando produttori, ristoratori e associazioni gastronomiche. Il problema è nell’essenza stessa del tortellino e dei suoi ingredienti: ci sono le carni del ripieno, il parmigiano, le uova e la farina, la gallina e gli odori per il brodo, e non sempre è possibile rintracciare la provenienza e la filiera locale. Ma ci stanno lavorando appositamente: “Far crescere gli allevatori con il nostro progetto, ad esempio, è utile all’ottenimento della DOP. Tracciare la provenienza dei singoli ingredienti significa riuscire a facilitare l’identificazione del tortellino con una determinata zona” prosegue Borsarini. Che è molto orgoglioso del suo ruolo di cuoco, perché “i cuochi sono il braccio armato della legge” scherza, sorridendo e arrotolando le R da bravo emiliano. Quei cuochi e ristoratori che dovrebbero sottolineare, sostiene Borsarini, l’origine dei tortellini made in Bologna direttamente nel menù: “È anche una tutela per loro, serve a far capire l’onestà e la serietà del ristoratore. Dire che un tortellino è certificato a tutti gli effetti è un’altra cosa”.