Anthony Bourdain era come Indiana Jones. Anthony Bourdain lasciava il segno in chiunque avesse a che fare con lui. Anthony Bourdain ha cambiato per sempre il concetto di viaggio. Sono tanti i principi da cui è nato l’episodio speciale di Parts Unknown, il programma on the road creato e condotto dal geniale chef giornalista che si è tolto la vita l’8 giugno del 2018. Una puntata confezionata dai giornalisti che hanno lavorato con lui e che hanno messo insieme tutte le impressioni, le clip, gli showcooking, le interviste agli amici, i viaggi. Ne è venuto fuori un tesoretto che, come dice Kate Bratskeir di Mic.com, custodisce “l’impatto duraturo di Bourdain su cosa significhi amare il cibo, raccontare storie e valorizzare il genere umano”. Parole sante. L’essenza di Anthony Bourdain persiste come lo spirito di un Jedi di Star Wars, senza che le vicende che sta vivendo la sua compagna, Asia Argento abbiano distratto nessuno, e si può riassumere in un numero imprecisato di punti (facciamo 7?) che a loro volta si potrebbero suddividere all’infinito.

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Memoir #1: era credibile ovunque e in qualsiasi versione. “Lo paragonavo a Indiana Jones perché era capace di starsene on the road con una t-shirt, bevendo una birra in cucina, facendo sentire un estraneo come se fosse il suo migliore amico”, ha detto Andrew Friedman, uno degli autori del programma, “a decantare le lodi di una cosa semplice come lo stufato di fagioli, e poi potrei tornare a casa, indossare giacca e cravatta e diventare un uomo di città”.

Memoir #2: era uno di noi. Secondo Bourdain, ricorda Mic, è bello gustare il whisky da soli: "Alle quattro del pomeriggio, in un saloon o in un pub di mia scelta, alla luce morente del pomeriggio, con i moscerini e la polvere che fluttuano nell'aria, Tom Waits al juke box. E dopo qualche sorso essere libero di sentirsi buono o cattivo con stesso, come ti gira quel pomeriggio”. Poesia pura.

Memoir #3: i sapori per la proprietà transitiva. Sempre Friedman, dice nella puntata speciale che Anthony Bourdain aveva una capacità irripetibile: farti sentire il sapore delle cose a distanza, come una app avveniristica che qualcuno prima o poi inventerà. Era così bravo a descrivere ciò che stava mordendo che tu, come spettatore, che non potevi assaggiare ciò che stavi guardando, potevi percepirne l’odore e il sapore come se fossi al posto suo.

Memoir #4: il cibo come esperienza extra nutrizionale. "Essendo diventato più maturo, mi rendo conto che il cibo che desidero è il cibo a cui reagisco in modo completamente emotivo", diceva Bourdain. Nella puntata – quasi un documentario su di lui, alla fine – si pone l’accento su come si approcciasse al cibo senza voracità, in modo mistico “quasi biblico”, dice Kate Bratskeir. Lo descriveva come si farebbe per gioielli, capi di alta moda, reliquie, ma anche oltre. "Dio si nasconde là dentro, da qualche parte", diceva.

Memoir #5: l’umiltà come segno di superiorità. Bourdain si descriveva così: "Non sono certo un giornalista, non sono più uno chef, mi piace lusingarmi dicendo che sono un saggista". Mic lo definisce “un narratore”, Andy Greenwald, un altro degli autori, dice che dialogava così bene con la telecamera da avere il potere di “mostrare le cose, non di mostrarci che vedeva lui qualcosa”. Questa è generosità.

Memoir #6: il disagio come utilità. Bourdain non faceva l’esploratore super partes di ciò che mostrava agli spettatori: lo sperimentava evitando i confort che si sarebbe potuto permettere. Con tutti gli imprevisti del caso: "La certezza è il mio nemico, preferisco di gran lunga il dubbio", dice nello speciale. Infatti, sul braccio, si era fatto tatuare la frase “non sono sicuro di nulla”. Il suo mantra.

Memoir #7: sfacciato, sfrontato, ma giusto. Bourdain non era un personaggio facile, né troppo indulgente. Ma era buono. Non sarebbe mai stato duro con nessuno e raccontava le sue storie con ottimismo. Vedeva il bello delle persone – conclude Kate Bratskeir su Mic – e voleva essere alla loro altezza giocando sui temi della colpa e della speranza. Ci mancherà fin troppo.