I primi brividi per il fragilissimo cacao, bacca di cristallo che vede sempre più ridotte le sue aree di crescita a causa dell’innalzamento delle temperature, e per le banane. Poi la tremarella di fronte al rischio concreto di veder sparire insieme birra e patatine, col global warming che falcia la produzione di orzo e rimpicciolisce le patate in tutto il mondo. Ed eccola, la ferale definitiva, ci hanno davvero preso tutto: il caffè è in estinzione. O meglio, a rischio estinzione accelerato. Un numero a due cifre sarà lo spartiacque doloroso del più prezioso nettare delle mattine: 32. I gradi di massima sopportazione al calore oltre il quale, spiega con fermezza il World Coffee Research, non si può garantire la produzione dei chicchi migliori di coffea arabica. C’è un limite, è quello. E il riscaldamento globale rischia severamente di andare ben oltre, rendendo la coltivazione del caffè nel mondo sempre più impervia, difficile e (nondimeno) costosa, sia per i produttori sia per i consumatori finali.

L’ultimo rapporto del WCR, pubblicato in base ai dati del 2017, riporta cifre preoccupanti: il 47 percento dell'attuale produzione di caffè nel mondo viene sostenuta in paesi che sono ad altissimo rischio di perdita di terreni coltivabili, circa meno 60% di superficie a disposizione entro il 2050. Spaventiamoci di più: un rapporto congiunto di studiosi del Texas, della Colombia e del Nicaragua pubblicato nel 2015 e citato sempre dagli esperti del WCR sostiene che il Brasile, uno dei maggiori produttori su scala mondiale, potrebbe perdere il 95% dei terreni destinati alla coltivazione di caffè arabica, la qualità migliore, entro il 2100. Di fronte a questo scenario catastrofico, nemmeno la razionalizzazione della gestione produttiva può salvare: il caffè finirà. Possiamo sperare che non avvenga ma i dati sono incontrovertibili: magari non succede, ma è altamente probabile.

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Niente più "buongiornissimo kaffèèè". Piantare, far crescere e raccogliere il caffè impiegando manodopera regolarmente salariata, come avviene con le certificazioni fair trade, potrebbe diventare insostenibile per i produttori, che saranno giustificati a diversificare le coltivazioni. Il caffè potrebbe diventare più caro dello zafferano, dell’oro, dei minerali dell’industria metallurgica. Anche il cosiddetto caffè selvatico, la pianta ancestrale dalla quale sono state ottenute tramite incroci tutte le varietà di caffè attuali che scegliamo di consumare (in base a gusto, aroma, sapore), è minacciato dal global warming e potrebbe addirittura estinguersi definitivamente entro il 2080, come i ghiacciai artici più belli del mondo. I climi caldi e secchi che sono la morbida culla di crescita del caffè verranno gradualmente rimpiazzati da umidità, cicloni, temperature sempre più tropicali, caldi soffocanti, mancanza o eccesso di piogge. Una vera devastazione del microclima necessario alla coltivazione della coffea arabica &Co., le cui piante vivono tendenzialmente 30 anni. Quelle piantate oggi, nel 2018, ai limiti quasi estremi della resistenza, potrebbero arrivare a fine vita e concludere per sempre il ciclo della amata tazzina riscaldata?

Fortunatamente la scienza e la ricerca tendono a stare un passo avanti e gli studiosi, parallelamente al lavoro di informazione sul caffè a rischio estinzione, stanno già studiando nuovi incroci in grado di resistere maggiormente ai cambiamenti climatici. Le piante di caffè resilienti, come le definiscono non senza spirito del tempo, potranno adattarsi a temperature più alte o più aride senza che la resa produttiva venga danneggiata. Inoltre nei laboratori si progettano altrettanti metodi di coltivazione e produzione, che nella prospettiva preoccupante squarciano l'ombra con una tenera fiammella accesa. “Dobbiamo definire le zone climatiche esistenti per il caffè e descrivere le differenze tra le varie aree non adatte” scrivono gli esperti della ricerca mondiale sul caffè. “Alcune aree non avranno bisogno di adattamenti per far crescere il caffè dopo il 2050, mentre altre che in previsione potrebbero non essere più adatte avranno bisogno di intervento” concludono gli studiosi.

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I caffeinomani a rapporto si lascino travolgere da un abbraccio collettivo di consolazione e ripromessa di parsimonia. Centellinare il caffè come unica salvezza alla moka seducente che gorgoglia meglio di una sveglia al mattino e tosta di energie i pomeriggi postprandiali. Il caffè fa bene o il caffè fa male non varrà più: conterà quanto saremo in grado di tenerci caro il terreno su cui cresce, e non in senso economico. Perché non è dalla fine della catena alimentare OPS produttiva, lì dove entra in gioco il consumatore, che dipenda la salvezza dell’amato caffè. Meglio, non solo da lì (il caffè in cialde è anche responsabilità nostra, pensiamoci). L’intervento dovrebbe (deve) essere prima di tutto a livello politico e legislativo sulle emissioni di CO2 che stanno portando la Terra a surriscaldarsi. Salvare il caffè dal rischio estinzione, sparizione, kaffee kaputt è possibile? Sì, forse. Stanno provando a evitare quell’estremo limite in troppe zone, quel numero pari e solo apparentemente innocuo. Quello che potrebbe farci dimenticare definitivamente il gusto dei baci al caffè.