Ci sono periodi dell’anno in cui mezzo mondo è accomunato dal calore delle festività e da una domanda che solo chi è senza cuore troverà trascurabile: come si conserva lo champagne aperto? E se non si tratta di champagne, stesso discorso anche per come si conserva lo spumante aperto. Che sia una bottiglia di bollicine gourmand o una Coca Cola, a nessuno al mondo piace bere qualcosa che ha perso il frizzante, in gergo che si sia “sgasato”. I metodi per cercare di evitare che il fenomeno di verifichi sono molteplici e infruttosi: disperato quello del tappo adagiato sopra, perché tanto di rinfilarlo dentro non se ne parla. Ma chi ha lavorato nei bar o nei club, o ama sbirciare d'abitudine gli addetti ai lavori, ha visto a volte i camerieri riporre in frigo le bottiglie di prosecco aperte infilandoci un manico di cucchiaino. Un sistema che usano anche molte casalinghe assicurando che funziona a meraviglia, ma senza sapere il perché. Per capire i motivi dell’efficacia di questo metodo, che sembra godere anche di una certa popolarità e che viene trasmesso quasi come un segreto carbonaro, abbiamo scomodato la biologa nutrizionista Giulia Vincenzo.

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“Ci troviamo davanti a uno dei miti culinari più interessanti”, dice la dottoressa che vuole arrivare a spiegare la faccenda passo passo, partendo da come funzionano le cose. “Prendiamo la nostra bottiglia di bevanda gassata, quella che sia: al suo interno vagano molecole di CO2 che si legano debolmente alle molecole dell’acqua e alle altre sostanze disciolte, staccandosi e riattaccandosi. Durante questo vagare, a volte raggiungono la superficie del liquido e se hanno forza sufficiente per vincere i legami di tensione superficiale, spiccano il volo in stato gassoso e rimangono nel vuoto creato dallo spazio fra il liquido e il tappo, dove continueranno a urtarsi fra loro. Così si crea la pressione”. Tenendo conto di tutto questo, i ricercatori del Comitato Interprofessionale del vino di Champagne hanno provato a sperimentare e monitorare scientificamente come la presenza del manico di cucchiaino influenzi questi processi, una volta aperta la bottiglia, e ne hanno pubblicato i risultati sulla guida viticola francese Le Vigneron Champenois. Indovinate qual è stato il risultato?

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“Che il cucchiaino nel collo della bottiglia non serve a nulla”, smentisce definitivamente la dottoressa Vincenzo (delusi?). “Prima di aprire la bottiglia la pressione della CO2 è superiore alla pressione atmosferica. Non appena apriamo la bottiglia, l’anidride carbonica gassosa intrappolata sotto il tappo esce fuori e lo spumante, o lo champagne, entrano a contatto con aria normale, e le molecole di CO2 che fuggono dalla fase acquosa non vengono più rimpiazzate. Questo vuol dire che l’effervescenza se ne andrà poco a poco e non c’è manico di cucchiaino che tenga”. Ma allora perché in così tanti credono (credevamo?) che mettere il mettere il cucchiaino nella bottiglia funzioni? “Semplicemente perché questo processo di perdita della CO2 richiede tempo, soprattutto se la bottiglia è in frigo ed è rimasta nella bottiglia originale, il cui collo stretto trattiene il gas”, dice la dottoressa. È così che quando andiamo a recuperare lo champagne o lo spumante tenuto in fresco, leviamo il cucchiaino e ce lo versiamo, il processo sta seguendo così lentamente il suo corso da farci sembrare, all'assaggio, che la quantità di bollicine sia rimasta la stessa (ma non è così). Cosa fare allora per conservare lo champagne aperto correttamente? “Io sono dell’idea che una bottiglia aperta vada finita”, consiglia la dottoressa Vincenzo, “ma se non è possibile, la cosa migliore da fare è travasare quello che resta del nostro spumante in una bottiglia più piccola e tapparla ermeticamente”. Insomma, fine di una leggenda coniata da qualcuno che, forse un po’ brillo, infilò il manico del cucchiaino nella bottiglia e il giorno dopo, trovandola ancora gassata, disse a tutti che il merito era della piccola posata, invece che della fisica.

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