Disintegrate quel wafer tra i denti e asciugatevi le lacrime in segno di rispetto. Armin Loacker è morto a 78 anni e oggi la gola si increspa di amaro sopra lo zucchero morbido del ripieno di nocciole tra i più celebri al mondo per la merenda perfetta. Loacker, sì. Il nome che fascia la creazione di quei pacchetti lunghi, sottili, colorati da attirare l’attenzione sugli scaffali dei supermercati. Un logo bianco delicatamente vintage in un campo rosso sfarzoso, con la cima della L arricciata in una virgola, che evoca gnomi, folletti e boschi innevati. I wafer Loacker alla nocciola, al limone, alla vaniglia e anche fondenti, quella meraviglia sfogliata e croccante che tutti abbiamo comprato (specialmente in caso di necessità affettiva da colmare e ben prima dei barattoli di gelato consolatori). Il segno distintivo per l’azienda di famiglia fondata da papà Alfons nel 1925 a Bolzano, la dinastia dei wafer che vantavano milioni di tentativi di imitazione (tutti malriusciti) e che sono riusciti a coccolare generazioni e generazioni di impenitenti golosi.

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La morte di Armin Loacker, riportata dalla Rai Alto Adige, lascia un piccolo vuoto silenzioso, il segno lieve dei lavoratori indefessi. Lui che aveva avuto un ruolo cruciale prima di lasciare la conduzione dell’azienda ai figli Andreas e Martin e al nipote Ulrich Zuenelli, figlio dell’altrettanto impegnata sorella Christine Loacker. Assieme hanno contribuito non poco a far diventare la piccola società a conduzione familiare una vera big internazionale di esportazione, oltre che a coccolare generazioni e generazioni di palati. Armin Loacker era cresciuto nella pasticceria di famiglia al centro di Bolzano dove papà Alfons aveva dato inizio a tutto seguendo un naturale fiuto per la realizzazione di biscotti, dolci & co. Nascono proprio qui i primi wafer Napolitaner, dal nome che riporta al sud dell’Italia in pieno Mediterraneo. E la motivazione sul perché i wafer Loacker Napolitaner si chiamano così è presto spiegata: la primissima ricetta dei wafer, cinque strati di cialda e quattro di crema alla nocciola, era stata codificata sul finire dell'Ottocento con nocciole che crescevano nell’area intorno a Napoli, precisamente ad Avella (il nome latino nux avellana identifica proprio la nocciola).

Tanto erano deliziosi, trasversali tra grandi e piccini, piccoli gioielli di golosità, che i wafer Loacker oltrepassarono i confini montani e si sparsero discretamente nel Nord Italia. Ma la Seconda Guerra Mondiale calò con la sua scure a rallentare la produzione, l‘Italia era squarciata dal conflitto, le materie prime sempre più difficili da reperire. Sul finire degli anni Quaranta, in lenta ripresa, il successo delle cialde Loacker e dei wafer torna a conquistare chi si sta scrollando di dosso anni di paure e dolore. Alfons coinvolge il figlio ormai cresciuto e sceglie di eliminare la pasticceria che gli porta via troppo tempo: verticalizzare, questa è la novità. Nel 1958 Armin Loacker, già impiegato nell’azienda di famiglia, diventa responsabile di produzione e opta per l’automatizzazione del processo produttivo introducendo le ultime novità dei macchinari industriali. Nel 1970 la scomparsa di Alfons Loacker è addolcita dai successi della famiglia: Christine è in azienda come responsabile amministrativo e di distribuzione, Armin si occupa di sovrintendere la produzione mantenendo alti gli standard imposti dal fu pasticciere di famiglia. L'altro fratello Rainer si dedica invece alla viticoltura. Grazie alle intuizioni di Armin Loacker la produzione decolla sempre di più, tanto che pochi anni dopo si deve scegliere una nuova sede. Ma Armin non vuole assolutamente che la produzione degli amati wafer Loacker avvenga nella zona industriale di Bolzano. "Un prodotto naturale si produce in un ambiente naturale. Abbiamo quindi bisogno di aria sana, acqua pulita e delle montagne" ripete assiduamente. C'è una sola soluzione: tornare sui passi di bambino, quando durante la guerra papà Alfons faceva sfollare la famiglia ad Auna di Sotto per proteggerli dai raid in città. L'impianto viene costruito lì, guardando il monte Sciliar patrimonio UNESCO così rappresentativo della zona che Armin Loacker lo vuole persino sulle confezioni dei wafer ridisegnate per l'occasione, a simboleggiare l'importanza della natura nella produzione delle sue cialdine ripiene di cioccolato &co.

Nel boom degli anni 80, grazie anche a pubblicità amatissime dai bambini che cantavano gli gnometti Loacker con le bocche incrostate di briciole di wafer, la Loacker è esplosa sul mercato internazionale. Alla prima sede produttiva in Alto Adige si è aggiunta quella di Heinfels in Tirolo con annessa Loacker Moccaria dove sedersi su divani di pelle cioccolato e bere caffè lungo ai tavolinetti a forma di cubi di wafer (e trovare anche gusti inediti dei wafer Loacker in edizione limitata, vi abbiamo avvisati). Aprono monomarca, punti vendita e bar a tema. Con l’ingresso della terza generazione di Andreas e Martin Loacker e Ulrich Zuenelli, forze fresche hanno traghettato quella che era una piccola pasticceria nell’era social 4.0 e nelle nuove produzioni approvate dal consiglio di amministrazione. Nel quale Armin Loacker, col suo cuore a 1000 metri d’altezza tra quelle montagne dove aveva portato avanti il sogno di suo padre, ha seduto fino all’ultimo. Oggi migliaia di persone con le mani imburrate di cioccolata lo ringraziano: l’universalità di una piccola cialda ripiena di crema alla nocciola è stata anche merito suo.