Quando arriva il momento di buttare via una tazza? Ci sono due grossi problemi universali che riguardano le tazze. Sì, quelle con cui beviamo il tè, o il caffè, se ci piace quello americano o il Cold Brew. Il primo problema è che ne siamo pieni. Succede perché la tazza è diventata l’oggetto che compriamo più facilmente nei negozi di souvenir quando siamo in viaggio, ed è il regalo più frequente che riceviamo da chi non sa cosa regalarci a Natale (fantasia, grazie). Aggiungiamoci poi che da qualche tempo le aziende sembrano preferirle per fare merchandising promozionale delle loro attività (ma non erano meglio le penne?) e in un attimo di siamo ritrovati la dispensa piena. Il secondo problema universale è che finiamo per usare sempre la stessa, magari perché ce l’ha regalata una persona cara o perché ci piace di più. La usiamo talmente tante volte che sembra consumarsi col tempo, ma poi pensi che di anfore se ne trovano ancora intere nei fondali marini dopo millenni e ti convinci che una tazza è per sempre. Ma è davvero così? E se la tazza fosse una piccola bomba ad orologeria? Okay, è un’esagerazione sensazionalista. Ma i motivi per disfarsi della vecchia tazza del cuore e sostituirla con una nuova ci sono e non si dovrebbero ignorare. Ps. c'è anche l'opzione adottare la borraccia termica, l'oggetto del desiderio che sta diventando il simbolo della salvezza dell'ambiente perché conservano le bevande calde calde o fredde fredde (ce n'è una, addirittura, per 24h) senza bisogno di creare nuovi rifiuti.

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Borraccia Esprit Libre
in Acciaio Inox, 750 ml, senza BPA, con Coperchio in bambù (su Amazon.it 19,99 euro)

Il primo e principale motivo si chiama “tannino”. Lo sappiamo tutti che tè e caffè ingialliscono e macchiano i nostri denti, se non li laviamo appena aver bevuto. Questo succede anche sullo smalto delle tazze. Difficilmente, appena finito di bere, ci precipitiamo a lavarle, più probabile che restino sul fondo un paio di dita di bevanda ormai fredda per qualche ora, prima di farlo. E non sono in pochi quelli che, magari perché in ufficio non c’è modo di usare spugnetta e detersivo, si limitano a una buona sciacquata e basta. Risultato: si formano delle belle macchie sedimentate di tannino che hanno un effetto insospettabile: alterano ogni giorno di più il sapore del tè o del caffè fresco che ci prepariamo. E magari diamo la colpa alla marca.

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Borraccia in vetro borosilicato con custodia in silicone e coperchio in bambù, 420/660/1000 ml (su Amazon.it da 16,89 euro).

Le crepe e le sbeccature sono il secondo problema. La smaltatura degli oggetti di ceramica, sanitari del bagno compresi, ha uno scopo igienico ben preciso. A parte la maggiore facilità di pulire qualcosa di liscio e lucido, su queste superfici i batteri si “aggrappano” con più difficoltà e tendono a perdere la presa e scivolare via anche solo con un getto d’acqua. Ecco perché si dice che una toilette o delle stoviglie con tracce di calcare, che è molto poroso, perdano le caratteristiche igieniche. Per questo stesso motivo le parti di una tazza sbeccata, o le sue crepe, diventano un bel nascondiglio per i germi.

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Ultimo buon motivo per cambiare la tazza di ceramica quando è macchiata o sbeccata: occupa spazio nella dispensa che dovresti lasciare a tazze migliori. Okay, dici, sono di valore e le vogliamo lasciare ai nostri discendenti. Ma se una tazza è così pregiata da valer la pena di far parte della nostra eredità, allora sarebbe il caso di averne una cura estrema, o non usarla affatto. Perché lasciare ai posteri l’imbarazzo di dover decidere la sorte di una tazza antica e costosa, o dal solo valore affettivo perché era di proprietà della bisnonna, lasciandogli in eredità anche le macchie del nostro tè/caffè e le sbeccature e le crepe che gli abbiamo fatto usandola a nostro piacimento? Un atto di clemenza verso la nostra dispensa, e anche verso i posteri non richiede un dramma. Sarà pure da obiettare che la ceramica sembra voler durare più della plastica, visti i reperti, ma con i mucchi di anfore vecchie e rotte i romani ci hanno fatto una bella collina artificiale, il Monte Testaccio, detto “monte dei cocci” che è diventato un’attrazione turistica. Immaginate la tristezza di un monte di bottiglie di plastica.