In Cina c'è un'azienda, la Luckin Coffee, già ribattezzata l’asiatica catena di caffè alternativa a Starbucks, che si prepara ad aggredire il mercato finanziario americano. E in grande stile, considerato che ha appena depositato alla Sec i documenti necessari alla quotazione a Wall Street, nel listino Nasdaq. Fondata a Pechino nel 2017 da Jenny Zhiyapunta, la società ha servito, complessivamente, circa 17 milioni di persone, ha oggi una capitalizzazione di quasi 3 miliardi di dollari e, nella sua categoria di business, è la più grande del Paese - dietro a Starbucks, appunto - con i suoi 2.370 punti vendita, distribuiti in luoghi strategici (centri commerciali, quartieri dove la presenza di uffici è elevata, aree universitarie) di 28 città grandi città. I bar Luckin Coffee sono di piccole dimensioni, con pochi posti a sedere, nei quali la tecnologia regna sovrana, soprattutto per via del fatto che tutte le transazioni avvengono senza contanti: si ordina e si paga con l'app associata, che offre anche bonus fedeltà. Oltre alla possibilità di consumare in loco, in questa catena di caffè all’americana è prevista anche quella di ordinare e vedersi recapitare i prodotti a domicilio in tempi piuttosto rapidi, mediamente inferiori ai 20 minuti.

Per quanto si tratti di un'impresa che gode di ottima salute e operi in un'area di business in grande espansione (visto che il consumo di caffè nel Paese dovrebbe crescere del 3% all’anno nel prossimo lustro), la lotta di Luckin Coffee per cercare di contrastare il predominio del competitor statunitense è tutt'altro che facile. C’è da considerare, infatti, che Starbucks è entrato in Cina 20 anni fa e oggi possiede 3.700 punti vendita (che diventeranno 6 mila nel giro di qualche anno) e una quota di mercato che supera il 50 per cento, un'enormità rispetto al 2,1% che Luckin Coffee ha registrato nel 2018.

Al momento, il rapporto tra i costi e i guadagni tra Luckin Coffee e Starbucks è ancora molto sfavorevole. Tanto per avere un’idea, il bilancio della catena di caffè cinese dello scorso anno si è chiuso con un fatturato di 125 milioni di dollari e perdite per 241 milioni. Ma tra gli obiettivi che l'azienda si è posta di raggiungere con lo sbarco in Borsa c’è, ovviamente, in primo piano quello di incamerare il denaro da reinvestire per sostenere i propositi di crescita, dal rafforzamento della conoscenza globale del marchi all'ampliamento della base clienti e della quantità di punti vendita. Ci riuscirà?