Le luci sono tiepide e soffuse, giocano a dipingere chiaroscuri sui muri come Caravaggio con gli oli su tela. Le stanze sono imbevute nel caffè, del suo profumo, testa cuore e fondo compongono bouquet studiati col contagocce per rappacificare i sensi tra loro. Il suono perseverante ma delicato di una macchinetta del caffè è a tratti una ninna nanna, a tratti una colonna sonora, di quello che assomiglia a un risveglio all’alba e che invece è il preludio dell’ultimo pasto della giornata. Fra le stanze di Innocenti Invasioni, ristorante di chef Tommaso Arrigoni stella Michelin dal 2008, proviamo l’esperienza di cenare dimenticando per una notte soltanto i calici di rosso fermo, per portare alle labbra solo tazzine di vetro colme di quel nettare dalla storia millenaria. Come fosse un rifugio gourmand dalle convulsioni metropolitane, il ristorante a Milano del figlio putativo di Claudio Sadler è la scenografia di un percorso di degustazione portata-caffè Nespresso, che riesce a superare una sfida ambiziosissima “non contaminare i piatti, bensì seguirne il gusto”. “Un sorso di caffè completa il boccone, lo accoglie, lo esalta”, spiega Massimiliano Marchesi, Coffee Ambassador Nespresso e nostro Virgilio dantesco alla scoperta dell’universo del pairing caffè-cibo. “In realtà, il caffè andrebbe bevuto durante la masticazione, non appena dopo”, ci sorprende, mentre immaginiamo passeggiate lunari sui vulcani della Costa Rica, dove nascono i piccoli frutti rossi bagnati/baciati dalle acque termali della foresta pluviale...

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Qual è la tua innocente evasione davanti al frigo?

Il cioccolato. Un ingrediente che, in versione dolce o salata, è il principe o il complemento della maggior parte dei miei piatti.

Scrivi dei tuoi menu che “rivisitano la tradizione”. Cosa significa?

Rivisitare vuol dire rispettare la tradizione e le origini da cui veniamo. E poi, provare a spingersi oltre, proiettarsi nel futuro.

Come?

Utilizzando in maniera rispettosa materie prime di altissima qualità, prodotte a loro volta in maniera rispettosa. Sperimentando tecniche sempre moderne, che aiutino a lavorare nel modo più puntuale e preciso possibile. Curando scrupolosamente la parte estetica del piatto, un’abitudine che fino a 20 anni fa veniva messa in secondo piano.

… mentre oggi?

Quando creiamo un piatto siamo chiamati a essere quasi degli artisti. Puliti, precisi, minimalisti. Insomma, rivisitare la cucina è anche una responsabilità verso i più giovani, che prendono come tradizione quello che proponiamo noi per poi ritrasformarlo a loro volta. È un ciclo in continua evoluzione.

E qual è il piatto che traduce tutto questo?

Il mio menu dedicato a Milano con protagonisti il risotto, l’ossobuco, la barbaiada. La tradizione è rappresentata dal rispetto per la materia prima, l’innovazione dalle tecniche scientifiche con cui tutte le ricette sono state catalogate, smembrate e riprodotte in maniera molto precisa. Dalla cottura della carne a bassa temperatura alla realizzazione della spuma di midollo fino all’equazione perfetta per dosare gli ingredienti del risotto, se chiudo gli occhi riassaporo la stessa gremolada che faceva mia nonna.

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Nespresso Courtesy

Dalle mousse nuvola alle carni da cortile, nel tuo ristorante tieni corsi di cucina. Cosa ti stupisce, nel bene e nel male, delle persone che vengono a farli?

C’è chi si avvicina alla cucina di un ristorante stellato senza capire tutto il lavoro che c’è dietro, c’è chi si entusiasma nell’imparare a replicare le tecniche dell’alta cucina a casa propria, in generale c’è sempre dello stupore. Ed è proprio dalla curiosità dei clienti che nasce il mio desiderio di voler divulgare la buona cucina.

A proposito, la tua nave scuola è stata la brigata Sadler degli anni Novanta, come è cambiata da allora la percezione che la gente ha dell’alta cucina?

Faccio questo mestiere da 35 anni, vivo la cucina come qualcosa di naturale, di normale. Ma ormai sembra sia diventata un catalizzatore di interessi talmente pop e talmente virale che non riesco a capacitarmene. In fondo, la gioia della convivialità a tavola e l’amore che mettiamo durante la preparazione di un piatto sono sensazioni che anche inconsciamente ci uniscono, ci portano oltre l’atto del mero nutrimento.

La gamma Master Origins di Nespresso pone molta attenzione alle origini e alle tecniche di lavorazione del caffè. A proposito, sei legato a un metodo di preparazione che non vorresti andasse mai perso?

Sì, tutte le tecniche di marinatura, affumicatura ed essiccazione. In special modo riguardo al pesce. Cerco di lavorare nel modo più tradizionale possibile anche se ho un debole per le tecniche moderne, come la cottura a bassa temperatura.

Tre modi per godere di un espresso, non solo a fine pasto.

Abbinando le note di fiori d’arancio di un caffè Ethiopia al carpaccio di capesante e burro al legno di liquirizia, il carattere maltato di un Costa Rica ai ravioli di vitello, latte di mandorla e purea di datteri, l’acidità fruttata di un Colombia a una terrina di foie gras e pan brioche…

Okay okay, mettendo da parte il processo di salivazione immediata, come funziona invece il processo di pairing piatto-caffè?

Degustando entrambi a diverse temperature, per poi decidere quale sia quella che li esalti al massimo. È tutto un gioco di gusti, persistenze, sensazioni finali al palato che dipendono completamente dal grado di calore di ciò che assaggiamo.

C’è un limite all’innovazione estrema di piatti e materie prime o credi che in cucina tutto sia concesso?

È proprio questo il punto del nostro lavoro. Non cadere nella banalità, non stravolgere la storia di un piatto, lavorare seriamente, fare ricerca costante, investire nelle migliori materie prime e nel tempo che si dedica ad affinare la tecnica. Se manca tutto questo, se manca l’esperienza, il cliente se ne accorge e otterrai solo un fuoco di paglia. E un ristorante vuoto.