La Sardegna è uno di quei posti in cui il tempo è bello anche quando è brutto. In spiaggia, prima che si apra la stagione turistica e lo sguardo si può spingere indisturbato fino all’orizzonte, se ci sono le nuvole, invece di scappare al coperto viene voglia di sedersi ad aspettare la pioggia. O di sdraiarsi e dormire lì con tutto il kit di desideri primordiali, tra cui vedere le stelle. Melassa narrativa a parte, la pioggia non verrà giù, a tratti ci sarà il sole, ma le sensazioni che evoca la spiaggia di Is Benas a San Vero Milis, vicino Oristano, terra di fenicotteri rosa e vestigia storiche impressionanti come i maestosi nuraghi, sono esattamente queste. Siamo in 130, più un paio di cani della vicina pescheria che apprezzando il diversivo si sono uniti alla compagnia. Fino a lì ci siamo arrivati portati per mano dalla Birra Ichnusa che ha lanciato l’iniziativa #ilnostroimpegno insieme a Legambiente Sardegna. Obiettivo ambizioso: ripulire le spiagge da tutto ciò che ci sparge sopra la mareggiata, quasi esclusivamente residui in quella materia che ormai sta diventando la nemica numero uno di tutti noi, anche se la sua colpa principale è quella di non essere mai stata gestita come si deve: la plastica.

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Max-Ferrero/Sync

Per le 48 ore di durata dell’iniziativa, divisa tra varie tappe, si riderà, si camminerà tanto, si berrà molta birra e poca acqua, si assaggeranno formaggi sardi, verdure fresche e svariati pesci, si maneggeranno poco gli smartphone perché la linea spesso non c’è, ma alla fine chi se ne importa, il panorama è molto meglio di uno schermo, e la sera ci si accorgerà di avere la vista riposata e la mente sgombra. Tutto comincia ad Assemini, il piccolo comune in cui c’è lo stabilimento della birra Ichnusa, la birra di Sardegna. È defilato, circondato da piante che a Milano si vedono solo dal fioraio, come le strelitzie. C’è un piccolo pub interno dove si spilla per gli ospiti. Cioè: la birra te la spilla chi l’ha appena fatta, a 3 gradi esatti di temperatura e nei famosi bicchieri Ichnusa con il vetro molto spesso (che non sono in vendita, ahinoi). C’è un buffet di specialità locali, gli immancabili formaggi ovini, quanto un brasato cotto nell’Ichnusa. Il mastro birraio Luigi Paciulli spiega che in Sardegna se ordini una birra è quella birra. Se non vuoi la Ichnusa devi specificarlo. La media italiana annuale di consumo della birra, in Italia, è di 30 litri a testa. In Sardegna è di 60, al pari dei paesi del Nord Europa, nelle versioni filtrata, non filtrata e cruda, e il formato più popolare è quello da 66 cl. È quello che si ordina automaticamente quando si è in due, perché, come dicono qui, “si smezza”, non si prende una bottiglia per uno.

L’Ichnusa ha sempre goduto delle simpatie degli intenditori, soprattutto quando non era molto facile trovarla in tutta Italia, o “in continente”, come dicono gli isolani. La sua storia andrebbe a pennello per una miniserie Netflix. Nel primo decennio del 1900, in Sardegna un'infestazione del parassita peronospora aveva momentaneamente messo in ginocchio la produzione vinicola, così nel 1912 due piccoli imprenditori cocciuti ebbero l’idea di mettere su un birrificio che cedettero quasi subito a quello che è considerato il padre della Ichnusa, Amsicora Capra. La parola Ichnusa rende omaggio al primo nome greco dell’Isola, Ichnôussa, che significa “impronta”, l’immagine che evoca l’isola dall'alto. Con il signor Capra, e i suoi discendenti, la produzione ha preso il via e si è dovuta interrompere solo durante la Seconda Guerra Mondiale. Ben presto la birra Ichnusa e il suo brand con i quattro mori sono diventati una delle caratteristiche identitarie della Sardegna, e quando nel 1986 il piccolo birrificio è stato rilevato da Heineken né chi ci lavora, né chi la consuma, ha avvertito l’operazione come una minaccia. Come spiega anche Alfredo Pratolongo, il direttore comunicazione del gruppo, piuttosto è stata percepita come un paracadute, visto che la produzione non si è spostata da lì e Heineken ha investito sul territorio e nell’innovazione, facendo di Ichnusa il primo birrificio con fermentatori verticali e rendendola un gioiellino di automatizzazione, con certificazioni della sicurezza severissimi e zero incidenti da nove anni. Il personale, poi, continua da aumentare di numero: lo scorso anno del più 20%, che per quest’area è importante.

Chi ci lavora è orgoglioso, ovvio. C’è Bruno, una vita dedicata a controllare la lavatrice delle bottiglie per togliere quelle difettose, che sta per andare in pensione e lo dice con i lucciconi agli occhi. Una lavatrice di bottiglie alla Ichnusa è fondamentale per portare avanti il concetto – poco noto – del “Vuoto a Buon Rendere”, la campagna con cui si spingono i bar della Sardegna a rendere tutte le bottiglie vuote di Ichnusa per riutilizzarle. Con questo sistema, che permette di ridurre di un terzo le emissioni di gas serra dell'azienda, una bottiglia identificata da un collarino e un tappo speciale può rimanere in circolo anche per 25 anni, esibendo con orgoglio i graffi dell’uso. Solo dopo averlo saputo, passando davanti ai locali di mescita in Sardegna, noti fuori dall’ingresso le cassette piene di bottiglie vuote, lasciate diligentemente dagli esercenti che al loro territorio ci tengono. L’attenzione verso l’ambiente qui è scontata da molto prima di qualsiasi attivismo e quando Ichnusa ha lanciato la campagna #ilnostroimpegno il popolo sardo ha risposto. Quando arriviamo alla grande casa di pescatori che hanno prestato lo spiazzo per l’adunata – divertiti dalla confusione – è strapieno di gente di ogni età che ha risposto all’appello sul sito del birrificio. C’è anche Scott Bamforth star della Dinamo Sassari di basket, che è partner attiva dell’iniziativa così come il Cagliari Calcio, e due coppie di coniugi decisamente agée che si riveleranno i più accaniti nella raccolta dei rifiuti, accanendosi su un grande sacco di plastica semisotterrato (che si arrenderà).

La spiaggia sembra un paradiso, e lo è. Poi ti inginocchi e le vedi, le famigerate microplastiche portate dalla mareggiata, particelle fragilissime e piccole come l’unghia di un neonato e in prevalenza azzurre, chissà perché. Se scavi un po’ tra sassi e sabbia trovi anche tanti altri rifiuti, soprattutto tappi sbiancati dalla salsedine che si camuffano da conchiglie. Siamo tutti muniti di pettorina con l’hashtag – Ichnusa ha rinunciato ad apporre il suo marchio per non distogliere l’attenzione dall’evento – guanti, pinze, sacchi per la raccolta. Qualcuno del posto spiega subito la differenza tra le Velelle, piccoli organismi impalpabili come ali di farfalle, azzurrine e trasparenti, e i pezzi di pellicola plastica a cui sono mescolate. Peccato che spigole e orate, invece, non le distinguano e mangino le une e le altre con le conseguenze che si possono immaginare. Rimani perplesso davanti al gran numero di bocchini filtro per sigarette in plastica durissima, e presto ti sfili i guanti perché i materiali da tirare via sono davvero troppo piccoli e si sbriciolano con niente. Ma quello che si trova con più frequenza sono minuscoli bastoncini colorati da cui le onde hanno raschiato via il primo strato rendendoli ruvidi e sottili. Ne tieni uno tra le dita, lo fissi perplessa e ti rendi conto con senso di colpa di cosa sia. Quel Cotton Fioc che hai gettato nel water tanti anni fa, quando ancora non eri consapevole, scaricato nel mare, e che ora è di nuovo tra le tue mani beffardo perché sa che ti sopravviverà. Abbiamo raccolto 263 sacchi di rifiuti. Siamo stanchissimi e con la nuca scottata dal sole. Ma soddisfatti.

Qualcuno dice: “è una goccia nel mare”. Qualcuno risponde: “e lo puliremo goccia per goccia”.

“Vedere così tanto entusiasmo per questa iniziativa ci rende orgogliosi", dice Katia Pantaleo, la Marketing Manager di Ichnusa che ha lavorato sodo con tutti gli altri. "È la prova che un piccolo gesto di rispetto, se fatto da molti, può fare la differenza". Prossimo appuntamento l’8 giugno 2019, Lago di Baratz a Sassari. Tutte le altre date a seguire saranno sul sito ufficiale di Ichnusa. Non diffidate dalle imitazioni: incoraggiatele.