Vegetariani e vegani, l’avviso è per voi: se pensavate di godervi serenamente l’aperitivo schivando prosciutti e derivati vari, presto potreste dover fare molta attenzione agli ingredienti dei vostri cocktail preferiti. Perché un cocktail alla carne potrebbe essere proprio davanti a voi e nemmeno il naso più esperto potrebbe, inizialmente, riconoscerlo. Non parliamo dei classiconi inattaccabili da disciplinare, ma di tutte quelle innovazioni creative su cui i barman e barlady compilano le loro personalissime drink list. La nuova tendenza mixology importata direttamente dagli Stati Uniti è il fat washing, letteralmente “lavaggio del grasso”, e serve a ottenere dei cocktail alla carne. Avete letto bene: cocktail a base di carne. O meglio, la sua essenza in un bicchiere. Cucina liquida, senza passare dal minestrone, e molto raffinata: la storia del fat washing affonda le sue radici nelle migliori tecniche di cottura ed estrazione. Oggi, dietro banconi di bar che somigliano sempre di più a laboratori e cucine, i mixologist più bravi studiano nuove tecniche di estrazione, infusione, marinatura e lavorazione di quei solidi che mai avremmo immaginato come insaporitori di un drink. A leggere il procedimento del fat washing, la tecnica si mutua in realtà dai rudimenti di manuali di alta cucina su come sgrassare il brodo, seguendo poi altri procedimenti. Questo consente di infondere ad un drink una sfumatura di sapore deliziosamente animalesco, arricchendo la complessità del bouquet.

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Carne da bere, quindi? Andiamoci piano. La definizione di fat washing si applica in realtà a tutti i grassi, quindi non solo quello della pancetta croccante ma a tutti i tipi di grassi aromatizzabili attraverso questa tecnica. Anche il latte, per dire, o qualunque sostanza che abbia una base grassa, può essere estratta. La tecnica fat wash è la versione gastronomica dell’effleurage, vale a dire l’antica estrazione degli olii essenziali dai fiori, tanto amata e utilizzata in profumeria. Solo che prima di spruzzarvi due gocce di Eau de Foie Gras dietro le orecchie vale la pena soffermarsi su come applicare tecniche comuni a mondi apparentemente lontanissimi. Fonti ce ne sono poche, ma alcuni punti fermi esistono: la storia del fat washing inizia ufficialmente fino al primo decennio degli anni Duemila in un locale di New York molto popolare all’epoca, il Please Don’t Tell. Il bartender Don Lee, incuriosito dalle infusioni di pasticceria di un pastry chef, Sam Mason, amico di un collega di bancone, si lasciò ispirare dal potere della memoria per realizzare dei cocktail fat washed. Prese spunto da uno dei grassi più amati e iconici della cucina americana, il bacon. La colazione e lussuriosa delle domeniche a casa con il caffè, la pancetta sfrigolante, i pancakes e lo sciroppo d’acero generosamente colato sulla montagnetta di goduria. Come replicare quella sensazione in un cocktail? Lee perfezionò il processo che porta alla reazione chimica dell’alcol con le particelle grasse contenute nel grasso di partenza e creò così un cocktail al bacon infuso nel whisky, che chiamò Brenton’s Old Fashioned. Al quale, sempre sull’onda della memoria della passione per il cinema e dei popcorn mangiati durante le proiezioni, aggiunse poi un cocktail al burro, il Cinema Highbal. Per Don Lee è pura e semplice applicazione di sillogismi aristotelici: i sapori che stanno bene tra loro staranno bene tutti insieme. “Rum e coca cola funzionano, il rum col burro funziona, il burro e i popcorn funzionano, i popcorn e la coca cola funzionano. Ho messo tutto insieme ed ecco il cocktail” ha raccontato Lee a TheTakeOut. Spiegata così, viene quasi voglia di provarci.

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Tecnica fat wash, come si fa. Servono principalmente manualità, esperienza di chimica della cucina, tantissima pazienza e voglia di provare contrasti, oltre che tanto tempo, perché non è così facile ottenere uno spirit limpidissimo e profumatissimo come ci si poteva immaginare (e sperare). Questa tecnica estrattiva dei profumi, semplificando molto, piace molto a quei mixologist che sono curiosi sperimentatori, animati dal sacro fuoco della scienza in cucina per accoppiare in modo naturale sapori che non potrebbero mischiarsi in altri modi. Parlando di ciccia OPS del discorso, parlare di fat-washing significa concentrarsi sul sapore degli ingredienti, non sulla texture, e concentrarsi principalmente sul profumo finale che si vuole raggiungere con il cocktail. I migliori spirits per il fat wash sono potenzialmente tutti. L'unica cosa che cambia sono i gusti personali: pisco e mescal, rum e whisky, vodka e gin. Per partire dai cocktail al burro, la raccomandazione è quella di utilizzare il ghee o burro chiarificato, già liberato della caseina che rischia di irrancidire, in modo da concentrarsi sulla migliore parte del miglior burro da affioramento. Naturalmente via libera ai cocktail affumicati con il grasso della pancetta, al gusto bbq, fino ad arrivare a cocktail vegani fat-washed con olio di cocco, burro di arachidi, burro di nocciole e via di frutta secca di ogni tipo. L’importante è che la parte grassa sia di altissima qualità, fresca laddove deve esserlo.

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Dave Arnold, bartender appassionato col pallino della scienza, nel suo manuale Liquid Intelligence: The Art and Science of the Perfect Cocktail consiglia di regolarsi per il fat washing con dei pesi precisi: ogni 750ml di liquore, usare al massimo 120 grammi di grasso dal sapore forte (tipo la pancetta e i grassi animali della carne), e 240 grammi di grassi meno invasivi come burro e olio d’oliva. Ma con una regola: per realizzare l'infusione devono essere liquidi, anche quelli animali. Vanno sciolti delicatamente (nel caso della pancetta, cuocetela e raccogliete la parte grassa) poi versati in un barattolo di vetro, dove aggiungere il superalcolico prescelto. Si chiude con il tappo, si shakera un paio di volte e lo si fa riposare a temperatura ambiente per 4-5 ore, poi una notte in congelatore. Serve a far solidificare il grasso in cima al barattolo, mentre l’alcol sottostante sarà ancora liquido: a questo punto si buca il grasso, si prende un colino a maglie fitte con una garza apposita e si travasa l'alcol in un altro barattolo, facendo attenzione che sia comunque limpido. La prima parte è fatta: il resto della ricetta dei cocktail fat washing, poi, è pura fantasia.