Posa (la) plastica. Potrebbe essere uno slogan azzeccato per i prossimi 30 anni, il tempo massimo che gli esperti dicono sia rimasto per salvare il pianeta. E visto l’innalzamento costante dell’età media, per quella data probabilmente ci saremo ancora tutti. Ma se possiamo essere solo felici per la riscoperta consapevolezza ecologica, se stiamo bandendo buste di plastica (volontariamente e per legge), se l’Unione Europea ha deciso di mettere al bando un bel numero di oggetti di plastica come le posate e i cotton fioc, se marchi di birra italiani organizzano la pulizia delle spiagge con i volontari, c’è un altro buon motivo per lasciar perdere la plastica in più declinazioni possibili. Ovvero, è stato confermato un sospetto che i biologi molecolari nutrivano da qualche anno: il cibo conservato nella plastica fa ingrassare, farebbe quantomeno. La prima volta che questa ipotesi era stata avanzata risale al 2012, quando due scienziati, uno in Spagna e uno in Corea, hanno cominciato a trovare le prove che l’obesità del ventesimo e ventunesimo secolo nei paesi industrializzati non dipende solo dal benessere e dalla vita sedentaria, ma anche da qualcosa che la plastica rilascia nel cibo. Secondo i loro studio alcune sostanze chimiche tra cui i PCB (attualmente vietati) gli ftalati (che servono a rendere flessibile e morbida la plastica) e il bisfenolo A, o BPA, una sostanza comune negli imballaggi alimentari e nelle bottiglie di plastica, potevano avere un impatto negativo sul metabolismo umano. Negli anni seguenti, negli States, gli studi finanziati dalla Food and Drugh Administration e quelli indipendenti sono giunti sempre a conclusioni contrastanti, ma concordi su un punto: il BPA è ovunque perché è un componente della plastica dura, trasparente e flessibile, soprattutto quella che usiamo per conservare il cibo. E le sue microparticelle vengono cedute nel cibo.

Si è sempre detto che non sia chiaro l'effetto della microplastica sull'organismo umano, quella di cui le acque sono piene, perché ci vuole tempo per capire i danni a lunga scadenza. Tuttavia, ora che le ricerche cominciano ad avere qualche annata alle spalle non si può più negare le conclusioni che la statistica può trarre. Ossia: la presenza di BPA e di ftalati è innegabilmente legata a malattie cardiache, obesità e diabete di tipo 2, e anche alla compromissione dello sviluppo neurologico nei bambini. Una conferma che nel 2018 ha spinto l'American Academy of Pediatrics a consigliare alle famiglie di evitare contenitori di plastica per conservare gli alimenti dei loro bambini. Come ribatte anche Insider, gli studi su cavie come topi e scimmie hanno dimostrato che queste sostanze chimiche possono compromettere polmoni, cervello e organi riproduttivi. Cosa fare? Decidiamo sul serio di sostituire il più possibile contenitori di plastica con quelli di vetro o di ceramica. Sicuramente, a breve qualche azienda ne inventerà di più leggeri e resistenti. Nel frattempo, proteggiamoci con quello che c'è.