Mai usata come scusa? “Non posso venire/aiutarti/accompagnarti, ho mangiato uno snack /biscotto/yogurt scaduto e mi sento malissimo...". Scherzi a parte, pare che le cose stiano per cambiare parecchio riguardo il tabù intoccabile sul nostro amato cibo, quello della data di scadenza sull’etichetta. I numeretti sacri che vanno rispettati come un comandamento non sono più così infallibili. Ma prima ammettiamolo: il cibo scade così tanto nelle nostre case perché ne compriamo più del necessario e lo dimentichiamo in frigo per giorni, o in dispensa per mesi se non addirittura anni, quando si tratta di scatolame. Questo comporta che, dalle ultime stime, solo in Italia circa due milioni di tonnellate di alimenti finiscono nella pattumiera ogni anno, anzi, nelle pattumiere da quando per fortuna è obbligatoria la raccolta differenziata. In proporzione, forse siamo più spreconi degli americani: gli interi Stati Uniti gettano 161 miliardi di tonnellate l’anno, ma bisognerebbe fare un calcolo preciso. Siamo però più bravi dei francesi, che sono solo 6 milioni più di noi ma ne gettano via 10 milioni di tonnellate l’anno. Inutile dire che utilizzando tutto il cibo gettato via, la fame nel mondo non sarebbe un problema e producendone di meno si inquinerebbe anche di meno.

Ma tra il comprare poco e il comprare troppo c’è la terza via. In Inghilterra già da qualche anno stanno riscuotendo molto successo le iniziative grazie alle quali viene messo in vendita a prezzi simbolici il cibo appena scaduto. Una vera festa per chi non arriva a fine mese, con praticamente zero rischi che quella scatoletta da cucinare la sera stessa sia immangiabile. Questo succede perché i margini di cautela riportati in quelle cifre che indicano la scadenza sono molto stretti, un filo troppo. Il che significa in sintesi: il cibo scaduto è ancora buono. Il sito Quartzy ha indagato sui diversi significati delle voci che si presentano nelle varianti: “confezionato il”, “scade il”, “da usare entro” e ha scoperto che anche la poca chiarezza fra queste alternative spinge i consumatori a gettare via un prodotto persino quando è ancora perfetto per legge. A parte l’errore matematico, non tutti sanno che queste diciture, in realtà, indicano solo entro quando il prodotto mantiene il profumo e il sapore del momento in cui è stato confezionato. Non diventa veleno. Non ci ammaleremo di botulino. Se, ad esempio, il nostro pacchetto di pasta o di riso è stato tenuto in luogo fresco e asciutto, nel buio della dispensa, in confezione chiusa e non è stato attaccato dalle famigerate farfalline, è ottimo anche oltre quella data.

Quand’è che un alimento diventa davvero pericoloso, allora? Quando viene contaminato. Una confezione di pesce surgelato, che è rimasta sempre nel surgelatore e sotto la linea massima di storaggio, è okay anche se scaduto. Non è lo stesso se viene scongelato, perché diventa subito facile preda dei batteri che si muovono ovunque, anche sulle nostre mani e sui lavandini. A volte nemmeno l’odore diverso del cibo è veramente indicativo del suo stato, ma magari su questo è meglio non rischiare. Se in casa abbiamo un barattolo di fagioli scaduto da due mesi, no, non è detto che sia andato a male, più probabile il contrario, e possiamo mangiarlo senza sentirci i protagonisti del romanzo catastrofista La strada di Cormac McCarthy. Poco convinti? Eppure della questione, oltreoceano, se ne sta occupando in modo sensibile la Food and Drug Administration, il potente organo che certifica i prodotti americani, i cui vertici sono talmente convinti di quello appena detto, che si stanno adoperando perché al più presto l’unica dicitura sulle confezioni sia “meglio consumare entro”. Per intendere che fino a quella data il prodotto sarà più profumato, forse più appetitoso. E se si va oltre quel giorno, non c’è da aver più paura di mangiarlo. Magari si condirà solo un po’ di più.