I cibi croccanti sono i cibi migliori, e potremmo chiuderla qui. Uno slogan secco da campagna elettorale pro patatine e stop. Ma perché siamo fissati con il crispy food ha finalmente una risposta scientifica, onesta e sincera. Che l'inglese ci aiuti perché in italiano possiamo dire "cibo croccante" e il concetto sarà implacabilmente lost in translation: crispy non è solo croccante, ma friabile + croccante. Le chips in busta, per intenderci, quell'equilibrio sottile e delicato che rompiamo voluttuosamente attivando gli incisivi, assaporiamo in punta di bocca e di lingua e ci godiamo nevicando briciole sui maglioni, con le dita scivolose. L'ennesimo peccato di gola accende nel nostro cervello i sensori di particolari reazioni determinate dalla consistenza dei cibi, e la croccantezza ha un ruolo cruciale nel farci apprezzare un piatto o una preparazione. Addirittura si usa come motivo per mangiare di meno masticando molto rumorosamente, ma non divaghiamo. Ça va sans dire, tutto è legato agli studi che l'industria alimentare ha condotto a partire dagli anni '50, agli inizi della sua progressiva sistematizzazione.

Oggi sembra scontato ribadire che l'apprezzamento di un cibo non dipende solo dal sapore ma da una consistenza in grado di appagare il contatto dell'alimento con il palato. Un pomodoro maturo avrà un sapore più dolce e acidulo rispetto ad uno verde, che però sarà decisamente più compatto al morso; stesso discorso si fa per gli alimenti processati, come appunto le patatine in busta, che devono essere sottoposti a diversi test di flavour e texture, ossia sapore e consistenza, prima di essere immessi in commercio e persino durante la loro permanenza sugli scaffali. Cambiare un ingrediente significa modificare radicalmente la struttura di un alimento: la decisione di eliminare l'olio di palma dai biscotti non è stata presa alla leggera, ha comportato ricerche di sostituti che potessero modificare al minimo la texture croccante in modo da non perdere consumatori.

Eppure non è sempre stato così. L'inchiesta approfondita di Bon Appétit sul crispy ricorda che fu la ricercatrice della General Foods Alina Szczesniak ad iniziare i pioneristici studi sull'importanza della consistenza del cibo al momento dell'assaggio. Alla scienziata, scomparsa nel 2016, si deve la principale e più completa messa a punto dell'analisi sensoriale di un alimento, un sezionamento scientifico e rigoroso che deve rispondere a precise caratteristiche a seconda delle varie fasi dell'assaggio: uno scioglilingua alfabetico che si divideva in adhesiveness, brittleness, chewiness, gumminess, hardness, viscosity, tutti a loro volta indicati da scale di punteggio differenti per avere un ampio range di valutazione come riporta il libro Sensory Evaluation Of Food: Principle And Practices. Oggi i parametri sono leggermente modificati e più ampi, ma il principio è lo stesso: un modello sistemico il più preciso possibile stabilizza la classificazione. E si usa con tutti gli alimenti, nessuno escluso: un pollo surgelato, le verdure già pronte.

Nel caso specifico del cibo croccante, ciò che affascina è la sua capacità di essere uno stimolante al consumo, come se attivasse specifiche reazioni di piacere nel nostro cervello. Una patatina tira l'altra non solo perché sono buone, ma perché la crispiness ci spinge a consumarne di più. Per ottenere quella leggera croccantezza in grado di consolare più di un quadretto di cioccolata, le aziende investono molto sul tipo di cottura dei cibi processati e sulla loro conservazione: la frittura delle patatine è fondamentale per la conquista dei palati dei consumatori, si usano macchine specifiche per modificare le atmosfere e cuocere ad alte temperature per brevissimo tempo, o al contrario si sperimentano cotture più lunghe a gradi minori per dare consistenze diverse. Torniamo sempre lì: la texture di un alimento è uno dei motivi principali del suo consumo.

Il sapore non basta. Può essere ottimo, ma se la consistenza è poco appetibile il cibo lo lasceremo lì. Ed è proprio dalla texture che dipende il suono che fanno questi cibi alle nostre orecchie, che nelle pubblicità è diventato cruciale (si usa un microfono per amplificarne al massimo il piacevole rumore). La scienza, rigorosa fino in fondo, ha persino studiato le frequenze audio di alcuni cibi croccanti, scoprendo che i più friabili (crispy) vengono di solito "attaccati" con gli incisivi e producono un suono più acuto, mentre i croccanti (crunchy) sono appannaggio dei molari che li fanno suonare su toni più bassi e profondi. Ogni volta che mordiamo un cibo croccante la vibrazione arriva alla mandibola fino alle nostre orecchie, sentiamo letteralmente il rumore di un morso tanto da quantificarlo in decibel (sì, lo hanno fatto). Su YouTube non è difficile trovare video ASMR di cibo croccante, per ascoltare il rumore affascinante che fanno le fette di bacon, il pane, le carote crude quando vengono masticate.

Gli chef, di fronte alla scienza, si adeguano di buon cuore. La componente crunchy or crispy non manca mai nel fine dining, tantomeno nelle trattorie che stanno diventando sempre più attente a coprire la multisensorialità degli alimenti. Persino quando non ricercata: l'esempio più semplice è la carbonara, dove il guanciale croccante accompagna da sempre la morbidezza serica dell'uovo (di certo il misterioso chef zero del primo spaghetto alla carbonara non stava tanto a pensare alla reazione chimico-fisica istigata dalla masticazione del croccante, eppure ci aveva decisamente preso). Oggi si fa molta più attenzione non solo al bilanciare i sapori (acido, dolce, amaro, salato e umami), ma anche le texture: una vellutata avrà sempre qualcosa di croccante e friabile a contrasto, perché ne stimola il consumo. Questa nuova ottica riempie i menu dei ristoranti a parole, dove l'aggettivo croccante ha un'incidenza sempre più alta, e i piatti preparati. Tra briciole di pane, mandorle tostate nel poké e chips di verdure, siamo le vittime golose di un crunch di troppo.