"Cucinare richiede tempo, pratica e fatica. Non è un'unica disciplina ma tante. È un apprendimento che dura tutta la vita, e che non si concluderà mai, ma che fortunatamente ha uno scopo, perché tutti quanti dobbiamo mangiare". Ci sono giorni in cui la variabile del tempo da impegnare/occupare/riempire trova conforto/veridicità nelle parole di Jay Rayner ne I dieci comandamenti del cibo (EDT). Tempo, pratica e fatica: il tutto-e-subito e il fast food - inteso come rapidità di esecuzione/ingestione - sono concetti che ogni tanto vorremmo sospendere.

La cucina oggi è quanto mai un rifugio. Instagram e Twitter sono un fiorire di battute e suggerimenti sull'importanza del rimettere le mani in pasta, così da avere a) scorte pronte in surgelatore, b) tempo impiegato in modo produttivo, c) qualcosa da fare comunque, anche con i bambini. La moda del lento spinge a riempire il vuoto prolungato di giornate infinite mettendosi ai fornelli, distrazione suprema dalle cronache del nuovo quotidiano, che si rivelano tutto il contrario di uno svago: fuori i libri di cucina, ci si rimette d'impegno. Tempo, pratica e fatica: le variabili perfette per sperimentare le tecniche di cottura lenta, metodologie di preparazione del cibo che nella frenesia della vita contemporanea trovano poco spazio (e, naturalmente, altrettanto minor tempo). La diffusione della cottura lenta è strettamente legata a due variabili fondamentali: il risparmio (il costo del combustibile poteva gravare molto sull'economia famigliare delle società precedenti quella attuale) e la tecnologia (riuscire a mantenere temperature elevate richiede strumenti adeguati). Non da meno, le ricerche dell'ultimo secolo e mezzo in termini di chimica in cucina hanno rivelato, post empirismo, che la cottura a bassa temperatura aiuta a salvaguardare l'alta qualità degli ingredienti utilizzati per cucinare.

Flan on white plate with brightly lit background.pinterest
Freestocker//Getty Images

Qualunque nonna vi avrebbe detto che la fretta è cattiva consigliera, e in cucina più che mai. La cottura lenta rispetta il cibo che decidiamo di cucinare: una torta al cioccolato non potrà mai venire bene se bruciamo il prezioso fondente mettendolo a contatto diretto con la fiamma. Serve un andamento lento che permetta al burro di cacao di sciogliersi con estrema calma ma che al tempo stesso non infici in modo importante sul bouquet aromatico (anche del burro, non dimentichiamolo). Quando parla di tavolette da squagliare, nove volte su dieci c'è una dicitura specifica: sciogliere il cioccolato a bagnomaria. Ma cos'è il bagnomaria? La definizione moderna della Treccani è esaustiva: modo di riscaldare o di cuocere cibi o altre sostanze che al calore diretto possono subire alterazioni, tenendoli in un recipiente messo dentro un altro recipiente più grande contenente acqua mantenuta a temperatura determinata, inferiore di solito a quella di ebollizione.

La storia del bagnomaria è molto meno fredda e concreta della sua descrizione pratica. Stando alle fonti, le origini del bagnomaria si trovano già nella Bibbia. Ma è una confusione di personaggi a regalare le sfumature della leggenda: a dare l'inusuale nome alla tecnica di riscaldamento e cottura del cibo, ben più avanzata di quanto si pensasse in un'epoca in cui si arrostiva e basta, è stata la prima alchimista donna registrata della storia dell'umanità, Maria l'ebrea (conosciuta anche come Miriam la Profetessa, Maria la Giudea, Maria Prophetissima, Maria Prophetissa o Maria d'Alessandria), leggendariamente indicata come sorella di Mosé e del profeta Aronne nella Bibbia (Esodo XV, 20). Maria/Miriam visse indicativamente tra il I e il III secolo a.C. nei territori dell'Impero Romano d'Oriente, che corrispondono all'incirca alla moderna Alessandria d'Egitto: le fonti sono scarsissime e sempre di derivazione, ma proprio la labilità della ricostruzione ha contribuito a cristallizzarne la figura tra aderenza storiografica e mito alimentato.

Close-up of a custard.pinterest
Freestocker//Getty Images

La prima donna alchimista è stata determinante per alcune invenzioni che sono state tramandate fino a noi e aggiornate alla moderna tecnologia: autrice di diversi libri che vennero citati dai suoi allievi dell'epoca (tra cui sembra esserci stato anche il filosofo greco Democrito) sopravvivendo alla sparizione del tempo, Maria l'ebrea è stata anche inventrice di alcuni dei primi alambicchi per la distillazione, processo chimico dove il riscaldamento lento e costante e le cotture lente aiutano a separare le diverse componenti di un materiale liquido o fluido, sfruttando la volatilità dei singoli composti. (Con lo stesso affascinante sistema di studiava la distillazione alcolica durante le ore di laboratorio di chimica al liceo, arrostendo i polpastrelli sul becco Bunsen troppo caldo; ma questa è un'altra storia). Proprio a lei si deve il nome "bagno di Maria" che poi divenne "bagnomaria", codificandosi ufficialmente a partire dall'Ottocento.

Quel primo, rudimentale progenitore della distillazione fu anche la madre della moderna tecnica di cottura a bagnomaria. Che fa sbuffare chiunque perché si vorrebbe risolvere rapidamente la realizzazione di una ricetta, ma è il modo migliore per prendersi un momento di tempo per sé sopra i vapori profumati della preparazione in corso. Da rimestare altrettanto lentamente, seguendone l'evoluzione giro dopo giro, così da ottenere la texture perfetta. Tra le ricette a bagnomaria da preparare prendendosi il giusto tempo ci sono la besciamella (velluto goloso indispensabile in lasagne, pasticci e metà delle preparazioni della nouvelle cuisine, che vi farà venire voglia di mangiarla a cucchiaiate) e la crema pasticciera (questa la mangerete a cucchiaiate anche da sola, abbiate l'accortezza di farne in abbondanza) e uno dei dessert più vintage e nostalgici che esistano, il latte alla portoghese, per il quale c'è un extra della tecnica: il bagnomaria in forno. Dolcissimo, controllabile, più che slow il bagnomaria è proprio al rallenty. E con i suoi tempi dilatati di preparazione impone un momento di respiro e calma anche al più ipercinetico dei cuochi improvvisati.