"Non consiglio di fare il pane, può diventare una passione pericolosa". Ipse dixit Isabel Allende, che con pragmatismo ammoniva i lettori del suo giocoso trattato Afrodita su come fare il pane in casa. Sunto estremo: non cominciate, per carità. Si diventa rapidamente schiavi della bontà del pane e delle norme supreme che regolano la sua preparazione. Ma le raccomandazioni sono vento fresco, prima o poi tutti sentono il richiamo del pane fatto in casa. E via a cercare le farine buone, a dare la caccia al lievito (fresco, secco, di birra, naturale), a favorire l'azione rigonfiante dei batteri improvvisando camere di lievitazione: la speranza è che venga bene. "Come la poesia, il pane è una vocazione piuttosto malinconica che richiede principalmente tempo libero per l'anima. Il poeta e il panettiere sono fratelli nel fondamentale compito di nutrire l'umanità" continuava poi la scrittrice cilena, universalizzando un parallelismo fondamentale nel mito del pane. Il cibo più apparentemente semplice e immediato, concentrato di energie e sapori, saziante come poche cose al mondo. Il cibo al quale non vorremmo rinunciare mai.

La storia del pane non ha tempi definiti. Le prime tracce riportano agli antichi Romani, che preparavano principalmente pani di farro, il cereale più diffuso: per arrivare al moderno grano tenero e alla farina bianca ci sono voluti un paio di millenni di ricerche, tentativi, incroci della genetica dei cereali. All'epoca dei gladiatori, quando un grande chef come Apicio scrisse uno dei primi libri di cucina di sempre, il pane cementò la sua necessità di cibo base dell'alimentazione. Ne esistevano varie tipologie a seconda delle varietà di farro, suddivise per classi sociali: ai patrizi e alle grandi famiglie delle gens romane il migliore, agli schiavi quello che c'era. In mezzo, i plebei che aspiravano a salire di grado. Tanto che Giovenale, feroce osservatore della società, coniò nelle sue Satire il detto borghese perfetto: [populus] duas tantum res anxius optat/panem et circenses, il popolo vuole solo due cose/pane e giochi circensi. Laddove il panem, in realtà, era il frumento triticale stesso, regolamentato da un complesso di leggi sul prezzo che presero il nome di lex frumentaria. Per gli antichi Romani il pane era un valore a sé.

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Persino quel cristianesimo (che poi sbriciolò l'impero) simboleggiò col pane parte della sua narrazione: non a caso Gesù avrebbe compiuto il miracolo dei pani e dei pesci, oltre ad aver moltiplicato pure il vino, punta di diamante della religione cristiana. Assieme all'olio sono i pilastri vivi da cui si è ramificata l'identità gastronomica del nostro paese, come ricorda Stefano Cavallito in Otto brevi lezioni per capire la cucina italiana (EDT), ma non solo da noi: i vari tipi di pane nel mondo testimoniano una vera e propria ossessione per la panificazione, ieri come oggi. Certo, una volta si badava principalmente al sodo: non patire la fame. L'economia spingeva a ottimizzare i tempi: chi andava ai forni comuni a cuocere il pane lo faceva una volta a settimana, le pagnotte dovevano durare nel tempo e non solo essere sufficienti a sfamare l'intera famiglia, spesso molto numerosa. Alla sua assenza quale bene primario sono legate le grandi carestie: non si poteva autoprodurre il pane fresco, la mancanza di cereali o di verdure impediva qualunque tentativo, anche i più fantasiosamente strampalati. Capitava di mangiare pane con la muffa per non morire di stenti, anche se il rischio era ammalarsi di qualcos'altro (non fatelo mai). Una pratica umana che sarebbe arrivata fino a noi: un tozzo di pane non si nega a nessuno drammatizzavano le nonne avvezze alle restrizioni della Storia del 900, prima che il benessere attuale esplodesse in sontuose bakery, forni e panifici, sorti attorno a meravigliosi movimenti di valorizzazione preziosa del pane.

Gli scambi tra bread makers di tutto il mondo stanno rendendo popolari anche diverse scuole di lievitazione, come il sourdough di ispirazione nordica (poi sbarcato negli USA) per ottenere un pane più umido, morbidamente acidulo e compatto, simile ai pani di segale di cui è piena la cultura dal Nordeuropa in su. Il pane è una cosa seria è la battaglia di Roberta Pezzella, una delle tante panificatrici che stanno rivoluzionando la cultura del pane con sperimentazioni, metodi di lievitazione e potenti smash alle convinzioni stereotipate. Fare rete, per le donne del pane come Pezzella (che ha pure il suo metodo Pezz per impasti e lievitazioni), Valentina Marella e Wendy Thomas, è il modo più efficace per raccontare questo nuovo universo, che sposta gli orari dei fornai per attualizzare un mestiere tra i più antichi del mondo.

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Sintetizzare la bontà essenziale del pane significa compilare un'aneddotica di testimonianze deliziosamente romantiche, finché la cultura scientifica non ha dato la sua imperiosa mazzata di rigore. Costringendo tutti a smetterla con l'eccesso di poesia: il pane non è altro che una re(l)azione affascinante tra cereali macinati e acqua, e si crea nel momento in cui determinati batteri prendono vita e iniziano ad agire. Stop, nient'altro. Già così è troppo romanzata. Nel 99% dei casi, il pane non sarebbe pane senza questo magico intervento, pure se esistono pani senza lievito storicamente molto buoni come il pane azzimo, tanto per tornare sul religioso. Fondamentalmente per fare il pane buono in casa serve imparare a giostrarsi tra le temperature, mettersi nell'ottica che l'attesa è la migliore consigliera, e soprattutto rimboccarsi letteralmente le maniche: "Certe casalinghe sono molto più brave di certi professionisti, questo è fuori dubbio" commenta Francesco Arnesano, panettiere/pizzaiolo di Lievito (Pizza, Pane) a Roma, forno da cui germogliano meraviglie profumatissime, già allievo prediletto di Gabriele Bonci. "Le aspettative non possono essere come in un laboratorio con attrezzature professionali, certo, ma si può fare sempre qualcosa: c'è chi è attrezzato e chi meno, ma in linea generale si riesce a tirare fuori un prodotto".

Non sorprende scoprire che l'ingrediente basilare è sempre e soltanto uno: il tempo. Tanto tempo, almeno un paio di giorni e un po' di spiccioli di ore. Dimenticatevi ufficialmente la poesia delle pagnottelle che riposano placide sotto sottili tovaglie di lino ricamato, dentro antiche madie intagliate: il pane è matematica & chimica alla N-esima potenza. Forse ci è stato raccontato parecchio bene, ma in fondo non è altro che reazione naturale tra ingredienti, pesati in proporzioni dannatamente precise. "Dico sempre che il pane è più difficile della pizza: tagli, temperature, formature giuste, vapore giusto… Se non sei pratico con la pizza, è meglio lasciarlo stare" raccomanda Arnesano. Ciò non distoglie dalla volontà di provarci, ovviamente: male che va, si potrà sempre recuperare come pangrattato. Gli stessi fornai studiano in continuazione: "In questo mestiere non puoi mai fermarti, altrimenti sei finito. E ogni fornaio ha il suo metodo, si può apprendere qualcosa, da tecniche a cotture a formatura e impasto. A me piacerebbe tantissimo imparare a fare le baguette: è un pane difficilissimo, soprattutto per quanto riguarda i 5 tagli alla francese, tipici della baguette" prosegue il giovane fornaio.

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La prima distinzione va fatta sul dubbio amletico eterno: pane con lievito naturale o pane con lievito di birra? Nell'era social della cucina molti curiosi si sono votati al lievito madre, entrando in un tunnel di rinfreschi e produzione quasi su larga scala. Per gli improvvisati fornaretti dell'ultima ora, invece, la via del lievito di birra è la più pratica percorribile. Le differenze sono notevoli per quanto riguarda gli impasti: col secondo si risparmia qualche ora, visto che non ci sono rinfreschi da fare, ma i tempi della lievitazione vanno comunque rispettati alla lettera. Poi c'è tutta la fase di cottura, la camera di calore dove finalmente il pane diventa la meraviglia che siamo abituati a mordere. E che dovremmo imparare ad ascoltare: "Quando lo tiri fuori, il pane canta: in gergo quando scrocchia lo definiamo così, e significa aver fatto una lavorazione corretta" rivela Arnesano. Il pane è anarchia solo nella danza dei batteri all'inizio della fermentazione, il resto è calcolo puntiglioso e tecniche finissime, altro che misteri gloriosi. Chi lo avrebbe mai detto che un popolo a tra(di)zione umanistica, tra santi, poeti e panificatori, dovesse soccombere all'eleganza rigorosa della matematica degli elementi?

Come fare il pane con lievito naturale: la ricetta di Francesco Arnesano

Si parte con il lievito madre da rinfrescare il giorno prima. Il licoli tradizionale, lievito a coltura liquida, è idratato all’80%, quindi su 2 kg di farina ci va 1,6 kg di acqua. Per il rinfresco si calcolano per ogni chilo di lievito, 2 chili di farina forte. Si può fare a mano o in planetaria, facendo incordare il lievito: questo procedimento serve a renderlo forte, deve durare 10-15 minuti prima a velocità bassa, poi gli ultimi tre si aumenta. A mano ci vuole un po’ di più e il movimento del braccio deve simulare il movimento della planetaria, con gesti molto rapidi e decisi. Una volta pronto si lascia mezz’ora fuori, per far partire la fermentazione, poi si copre con pellicola bucherellata, così scambia ossigeno, e si mette in frigorifero.

Il giorno dopo si prende la farina preferita, anche tipo 1 o 2, e ogni kg di farina si calcola il 55% di idratazione (550 gr di acqua) e si fa un fermo macchina: consiste nel mescolare solo acqua e farina in modo che venga un impasto grezzo e grumoso, per semplificare il processo di impasto nella sessione successiva. In questo modo il glutine si forma prima: il volume e gli aromi saranno più accentuati, e la crosta verrà più spessa. Si fa riposare 40 minuti poi finalmente si può entrare col lievito naturale: dopo la fermentazione corretta il lievito è “maturo”. Si calcola il 20% sul peso totale della farina, in questo caso 200 gr di lievito naturale pronto ogni kg di farina, e si pesa la restante parte dei acqua che resta per completare l’idratazione totale della ricetta, al 70%: prima abbiamo messo 550gr, per arrivare a 700 ne mancano 150. Dopo questo si comincia ad impastare aggiungendo poca acqua alla volta, fino a metà: nell'ultima metà si aggiunge il sale fino, 25 gr ogni kg di farina, poi si incorpora. Questo processo di impasto richiede molto tempo ad una velocità molto bassa: in planetaria deve girare piano, la pasta non deve essere stressata e si deve incorporare più aria possibile. Al termine si fa la prima lievitazione di massa: si lascia così com’è per 2 ore a 26/28 gradi, deve diventare una volta e mezza il suo volume, non il doppio altrimenti il pane prende troppa forza. Poi si capovolge l’impasto sul banco e si fanno le pezzature, i panetti che poi diventeranno i filoni: più si aumenta il peso del filone, più la cottura deve essere fatta in modo certosino. Ogni filone va pesato, per casa si calcolano 750 grammi massimo, poi si forma una palla e si fa riposare coperta per 40 minuti. Si spolvera poi con poca farina il banco, e la pieghiamo capovolta. Anche se è una palla, ragioniamo per lati: il lato verso di noi lo premiamo leggermente verso l’interno, il lato destro si piega sopra, il lato sinistro la stessa cosa: il vertice di questo triangolo lo pieghiamo sopra queste tre chiusure, arrotolando e schiacciando con il bordo del pollice. È la serratura del pane. Si mette a riposare in un cestino, con un tovagliolo di stoffa spolverato di farina, si copre e si lascia raddoppiare. Intanto si accende il forno, da preriscaldare a 200 gradi, e si scalda un pentolino di acqua che poi possa andare nel forno. Il pane va su una teglia con carta forno, si fa un’incisione a piacimento come la croce sulla pagnotta, e si inforna: il pentolino di acqua bollette va posto sotto, così da favorire il vapore che altrimenti non si formerebbe. Il pane si cuoce a caduta: si entra forti a 200 gradi per 15-20 minuti, poi altri 30 minuti a 170 gradi. Gli ultimi 10 minuti di cottura vanno fatti con lo sportello semiaperto, così da far uscire tutto il vapore. Una volta cotto va fatto raffreddare su una griglia, sollevata dal piano così non si ammolla.

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Come fare il pane con lievito di birra: la ricetta di Francesco Arnesano

Il lievito di birra è più semplice da gestire: si parte da un prefermento non incordato con il 45% di acqua, in caso di farina bianca, o 50% se si usa una farina integrale, che si chiama biga. Si calcolano 5 gr di lievito di birra ogni chilo di farina: il lievito si scioglie in acqua e si aspettano 5/10 minuti che si attivi bene. Poi entriamo con l'acqua nella farina, tutta, usando le mani per farla assorbire. Non sarà un composto incordato, bensì molto grezzo, che poi andremo a far maturare per 16-18 ore a una temperatura di 18-20 gradi sempre sotto pellicola forata: i lieviti devono scambiare ossigeno. Il giorno seguente si rinfresca la biga con una parte di farina per completare la ricetta, il 40% in questo caso. Si pesa anche l’acqua restante, vale a dire il 20%, e si versa po’ nella biga per sciogliere l’impasto prima di aggiungere la farina. Si aggiungono a parte dell'acqua 20 grammi di malto, zucchero di canna o miele: il prefermento fatto così tende a scaricare gli zuccheri della farina, in cottura il pane non si colorerebbe, invece così dà la doratura. Si impasta bene, poi si sciolgono 25 gr di sale nell’acqua che resta, e si finisce di incorporare Una volta ottenuta la massa, si segue il procedimento del lievito madre: massa, preforma, cestino, forno, sempre a vapore per questo tipo di pane. Più vapore si ha, più il pane cresce di volume e la crosta è sottile, molto croccante e lucida.